Movimento anarchico e area libertaria: matrimonio o relazione tra singles? L’esperienza italiana della cooperativa Editrice A
di Rossella Di Leo
L’obiettivo che mi propongo è di ricostruire il rapporto tra movimento anarchico e area libertaria attraverso l’esperienza editoriale-culturale del gruppo milanese che fa capo alla cooperativa Editrice A, cooperativa nella quale ho lavorato sin dalla sua costituzione venticinque anni fa, partecipando in modi e tempi diversi a tutte le sue iniziative. Si tratta ovviamente di una ricostruzione a partire da un preciso punto di vista, sia nel senso che si basa sull’esperienza di un gruppo specifico all’interno del movimento anarchico italiano, sia nel senso che esprime compiutamente un punto di vista personale, cioè il mio, all’interno della stessa cooperativa.
Mi sembra utile presentare brevemente questa iniziativa editoriale-culturale, articolata in varie sezioni, alcune tuttora attive altre invece esauritesi, che rappresentano anche diversi livelli di comunicazione (dall’informazione militante alla riflessione teorica): e sono il mensile «A rivista anarchica», nato nel febbraio 1971 e a tutt’oggi la testata anarchica più diffusa di lingua italiana; la rivista internazionale «Interrogations», ideata insieme a Louis Mercier Vega e chiusa nel 1979, che verrà poi sostituita, nel 1980, dal trimestrale «Volontà», fondato nel 1946 da Giovanna Berneri e Cesare Zaccaria; le edizioni Antistato avute in gestione da Pio Turroni nel 1975 e attive sino al 1985, che verranno sostituite nel dal nuovo marchio elèuthera. Strettamente collegato con questo progetto, benché autonomo, va ricordato anche il Centro studi libertari/ Archivio Giuseppe Pinelli, attivo sin dal 1976.
Si tratta di un’esperienza che si sviluppa dall’inizio degli anni Settanta e che è dunque tutta dentro quello che possiamo chiamare, con definizioni non consolidate, neo-anarchismo o anarchismo post-classico, comunque quell’anarchismo che segna un passaggio quanto meno generazionale: dalla generazione che ha conosciuto il fascismo, la guerra di Spagna e la Resistenza e che ha solide radici proletarie a una generazione che nel 1968, quando rinasce il movimento, ha meno di trent’anni e in cui la componente operaia e artigiana è nettamente minoritaria, mentre prevalgono studenti, insegnanti, tecnici, impiegati del terziario e anche drop-outs di vario tipo…
Ovviamente i rapporti tra i due soggetti della riflessione hanno una storia più lunga, che copre l’intera seconda metà del secolo, attraversando fasi diverse che peraltro non hanno avuto una consecutio strettamente lineare, ma si sono spesso sovrapposte, con corsi e ricorsi storici anche a seconda delle diverse tendenze anarchiche che affrontavano il problema.
Prima di delineare la storia di questa relazione, è utile abbozzare a grandissime linee l’evoluzione del movimento anarchico italiano nel dopoguerra, giacché ha visto fasi nettamente contrastanti. Sinteticamente il movimento si riorganizza nel 1945, grazie anche alla Resistenza contro il nazifascismo, e gode di un certa presenza politica (si pensi che al primo congresso anarchico del dopoguerra, quello di Carrara del 1945, i maggiori partiti politici italiani, Democrazia Cristiana compresa, mandano loro delegati) e di una certa vivacità intellettuale (ad esempio intorno alla rivista «Volontà», che raccoglie una intellighenzia libertaria di notevole valore). E questo sino al 1955 circa. Nel decennio successivo vive una crisi drammatica scomparendo praticamente dalla scena italiana a qualsiasi livello, tanto da consentire ad alcuni cattivi profeti di annunciare la morte dell’anarchismo. Rinasce tumultuosamente nel 1968 e conosce una presenza minoritaria ma molto attiva fino alla fine degli anni Settanta; il decennio Ottanta segna un altro marcato declino, che però coinvolge non solo l’anarchismo ma tutta la sinistra extraparlamentare, cioè i protagonisti dei ruggenti anni Settanta. Una crisi dunque che travalica la storia specifica del movimento anarchico, il quale tutto sommato regge meglio della sinistra extraparlamentare, prevalentemente marxista. Si innesta però nel movimento una pericolosa sindrome da ghetto, i cui sintomi sono isolamento, inattività e una grave crisi della militanza. L’attuale decennio vede il movimento «istituito» sempre ridotto e con caratteristiche abbastanza simili alla decade precedente (sebbene in forma più attenuata), ma vede anche una presenza individuale, non organizzata, degli anarchici in molti dei settori vivaci della società, soprattutto lì dove si esprimono una cultura e una pratica libertarie. Questa la premessa.
Rifacciamoci ora alla metafora del rapporto di coppia suggerita nel titolo, che pur semplificando di molto la realtà, ci può aiutare, se non la spingiamo troppo oltre, a esemplificare le varie fasi manifestatesi nel rapporto tra movimento anarchico e area libertaria:
a) rapporto patriarcale; è il rapporto classico in cui il ruolo maschile è interpretato dal movimento anarchico e quello femminile dall’area libertaria. Infatti non è inconsueto per il movimento anarchico pensare all’area libertaria come a un’area di servizio in cui «pescare» nuovi militanti da cooptare poi nelle proprie fila. È l’area un po’ vaga popolata da una nuova figura, il cosiddetto simpatizzante, una sorta di quasi-anarchico (o anarchico imperfetto) il cui ruolo principale sarebbe quello di fungere da «cassa di risonanza» per le proposte e le strategie elaborate dal movimento. Dal punto di vista di quest’ultimo si tratta dunque di un’area che vive di luce riflessa e in questa fase non viene riconosciuto alla cultura libertaria lo status di cultura autonoma.
b) rapporto di coppia aperta; l’impostazione grosso modo partitica (un po’ da «cinghia di trasmissione») del rapporto precedente a un certo punto non soddisfa più l’area libertaria, che non gradisce il ruolo subordinato che le tocca interpretare nel rapporto; da qui una voglia di emancipazione che spinge l’area libertaria a cercare altri partner meno soffocanti. La soluzione non incontra però il favore del movimento che si accorge ben presto di quanto arrugginite siano le sue doti di seduzione, mentre l’area libertaria trova al contrario ben più facilmente altri interlocutori (sintomatico il rifiuto da parte di molti anarchici ad ammettere ancor’oggi l’esistenza e la legittimità di un’area libertaria non monogamicamente collegata al movimento).
c) la separazione per colpa; come per la gran maggioranza delle coppie aperte l’esperimento non funziona e dopo un periodo di reciproche recriminazioni – per il movimento anarchico l’area libertaria è diventata di costumi eccessivamente facili, per l’area libertaria il movimento ha solo cercato di sfruttarla, impedendole di esprimersi – avviene lo strappo, cui fa seguito un processo di estraniamento reciproco. Con danni per entrambi: il movimento perderà una linfa vitale e si arroccherà in ambiti sempre più angusti, l’area libertaria cercherà di nascondere, anche a se stessa, le proprie origini ricavandone un’identità debole e divenendo facile preda di soggetti istituzionali senza scrupoli.
d) rapporto tra singles; è grosso modo la fase attuale. Dopo un periodo di silenzio e diffidenza reciproca, avvenimenti di portata internazionale (non ultimo la crisi del marxismo) ridanno visibilità e appeal ad anarchismo e libertarismo. Il nuovo favorevole contesto che si viene a creare porta a un riavvicinamento dei due su basi però di conquistata parità e autonomia. Messo da parte il risentimento, anche se non tutta la diffidenza, il rapporto viene ristabilito, benché meno stretto che in passato. Seppelliti obblighi monogamici e doveri coniugali, la promessa reciproca è di tornare a frequentarsi da buoni amici e magari da amanti occasionali.
Usciamo dalla metafora e vediamo ora come si innesta in questo quadro generale l’esperienza particolare delle iniziative editoriali prima citate. Ed essa è con quel quadro in parte coincidente in parte divergente in quanto si tratta di iniziative, tutte nate all’interno dell’anarchismo e tutte militanti, che sono in parte lo specchio del movimento, e dunque ne seguono le evoluzioni, ma che in parte sono espressione di un progetto culturale specifico.
Dunque sono espressione anche di scelte precise, come ad esempio la grande attenzione data all’esperienza dell’anarchismo anglo-americano, stimolante da un punto di vista «latino» proprio perché, sia per tradizione culturale sia per la sperimentazione precoce del regime democratico, questo anarchismo si è posto già da tempo il problema del rapporto con il libertarismo, arrivando a elaborare una riflessione più avanzata sui modi dell’anarchismo nella società contemporanea (pensiamo ad esempio a Paul Goodman, a Colin Ward e a Murray Bookchin). Anche l’anarchismo italiano aveva iniziato a farlo con Camillo Berneri, ma le sue innovative riflessioni vengono tragicamente chiuse nel 1937 segnando un ritardo teorico che l’anarchismo italiano sconterà con la crisi dei decenni successivi.
Una peculiarità di questo progetto editoriale-culturale è dunque riscontrabile proprio in questo tentativo di innestare, seppur in modo sincretico, la cultura anarchica e libertaria anglo-americana sulla corrispondente cultura «latina» e in particolare italiana.
Sono sostanzialmente identificabili tre fasi nel rapporto di questo specifico progetto con l’area libertaria, fasi che si possono considerare tappe di avvicinamento.
La prima fase, iniziata nel 1971 con la nascita di «A rivista anarchica», può essere riassunta nell’espressione «anarchici e orgogliosi di esserlo». Il movimento sta rinascendo tumultuosamente, è giovane e senza contatti diretti con l’anarchismo precedente. Le priorità sono dunque quelle di concorrere a ricostruire prima e rafforzare poi il movimento (e a questo puntano, ad esempio, i libri delle edizioni Antistato con la riproposta dei classici). Nel contempo però si afferma la necessità di ripensare l’anarchismo alla luce delle mutate condizioni sociali, culturali ed economiche nelle quali si trova a operare: riflessione portata avanti attraverso la rivista internazionale «Interrogations» (1974-1979) e le attività di ricerca del Centro studi libertari (del quale posso citare a titolo esemplificativo alcuni progetti di ricerca, concretizzatisi in convegni e seminari, realizzati nel corso del tempo: sulla tecno-burocrazia, sull’autogestione; sull’utopia, sul potere, sulla mutazione sociale…).
La seconda fase, che non esplode all’improvviso ma si esplicita gradualmente all’interno della prima, matura intorno ai primi anni Ottanta, in un periodo di marcato distacco con l’area libertaria che comincia ora la sua fase ascendente. Proprio questa netta separazione spinge a indagare sulle ragioni dell’estraneamento, focalizzando l’attenzione sulle linee di pensiero autonome elaborate nel frattempo dalla cultura libertaria. L’idea che nasce da questa indagine, e che si concretizza soprattutto nel trimestrale «Volontà» a partire dal 1980, è quella di re-innestare queste stimolanti diversità all’interno della riflessione sulla riattualizzazione dell’anarchismo.
La terza fase, iniziata più o meno alla fine degli anni Ottanta, e presente soprattutto nel progetto editoriale di elèuthera, è di portare l’anarchismo fuori dall’isolamento nel quale si è più o meno volontariamente chiuso e dentro quest’area culturale libertaria in espansione, area che sembra vivere e proliferare senza alcun collegamento evidente con l’anarchismo «ufficiale».
Questo tentativo ha ovviamente imposto di definire in modo più preciso quest’area libertaria alla quale si intende accedere e ne è stato dunque tentato un identikit più dettagliato. La fisionomia ricavatane, proprio come nelle tecniche per costruire un identikit, risulta composta da parti assemblate; non è cioè una struttura coerente, data, ma è piuttosto una struttura composita, derivata dall’accostamento di elementi diversi.
La prima evidente caratteristica dell’area libertaria è quella di non essere e di non riconoscersi come un’area compatta e omogenea dai confini rigidamente definiti. Si tratta piuttosto di un ambito molto aperto e parzialmente fluido che comprende soggetti molto diversi tra loro, il più delle volte non comunicanti. Le tipologie sono diversissime. Talvolta sono movimenti veri e propri (ad esempio l’antipsichiatria militante), ma il più delle volte si tratta di segmenti di movimenti (ad esempio alcune aree dell’arcipelago verde o del movimento delle donne), se non addirittura di particolari momenti nello sviluppo di un movimento, generalmente quelli pre-istituzionali (ad esempio il movimento per l’obiezione di coscienza); talvolta sono invece situazioni transitorie, contingenti, che esprimono più che obiettivi libertari delle metodologie di intervento libertarie (ad esempio i movimenti cittadini di azione locale che sorgono intorno a tematiche estremamente specifiche ma notevoli per la sperimentazione di metodi decisionali orizzontali e d’azione diretta); talvolta ancora si tratta di riflessioni nell’ambito della cultura «alta» (ad esempio nella riflessione pedagogica), ma anche in saperi scientifici duri con interessanti ricadute epistemologiche (ad esempio in geometria dopo le nuove teorie sul caos, in matematica dopo la critica al paradigma centrista elaborata da Jean Petitot, in biologia dopo i nuovi studi sulla simbiosi di kropotkiniana memoria o sull’autopoiesi di Humberto Maturana); talvolta infine si tratta di aree politiche con connotazioni proprie i cui esponenti esprimono a livello di base metodi di intervento e valori chiaramente libertari (il circuito dei centri sociali con la loro pratica autogestionaria, il volontariato laico e a volte persino cristiano con la loro pratica solidaristica, il generico «popolo di sinistra» e il suo crescente rifiuto a inquadrarsi in un partito-padrone).
Risulta evidente da questo identikit sommario che il libertarismo non è un soggetto unico ma un insieme di categorie tra loro disomogenee. E proprio questa disomogeneità non ha consentito al libertarismo, nel bene e nel male, di istituzionalizzarsi, ovvero di darsi uno statuto, un’identità forte, dei confini stabiliti. Questa indeterminatezza da una parte non l’ha fatto diventare un polo riconoscibile d’aggregazione sociale e culturale, tanto che persino una certa destra ultraliberista può dichiararsi libertaria, ma dall’altra le ha consentito una diffusione estremamente capillare.
Ed è proprio a partire da questa indeterminatezza che si può addirittura ipotizzare che sia lo sguardo anarchico a riconoscere e definire l’area libertaria più che una compiuta identificazione da parte delle stesse categorie che la compongono. La singola categoria è spesso «integralista» nella sua visione, nel senso che l’obiettivo perseguito, visto come parziale e specifico da chiunque sia esterno a quella visione, per la singola categoria che lo propone è invece totale e generale, la ragione del loro esistere e agire. E in questo senso possono essere scarsamente interessate a creare collegamenti con altri soggetti dalle caratteristiche simili ma dalle specificità diverse. Del tutto opposta la prospettiva dell’anarchismo che vede al contempo il valore della specificità e il valore dell’aggregazione in nome di un comune sentire libertario.
Se accettiamo che sia lo sguardo anarchico il criterio – o comunque il nostro criterio – per descrivere l’area libertaria, vediamo allora quali sono le caratteristiche che fanno sì che una certa categoria venga inclusa o no in quest’area. Così come le categorie non sono omogenee, neanche le caratteristiche lo sono, ma ruotano tutte attorno a questi assi: critica della gerarchia, applicazione di un metodo decisionale orizzontale, sensibilità intrisa di valori libertari. Se questi elementi sono presi nella loro radicalità altro non sarebbero che gli elementi costitutivi dell’anarchismo, ma se vengono accettati nella loro specificità – ad esempio la critica della gerarchia uomo/donna o adulto/bambino; ad esempio la pratica autogestionaria degli organismi di base; ad esempio una concezione egualitaria nei confronti della natura o dell’altro – questi sono degli esempi genuini di libertarismo.
Tornando alla particolare esperienza di elèuthera, l’obiettivo consapevolmente perseguito nei dieci anni di attività è stato appunto quello di istituire una rete di contatti che costruisse un ambito comune con queste realtà libertarie, poco frequentate dal movimento ma anche con scarsa frequentazione reciproca. L’ambizione del progetto è dunque duplice. Innanzi tutto portar fuori l’anarchismo dal suo isolamento e metterlo in circolo in questa rete così da poter interagire con le diverse culture libertarie, in un processo di fecondazione reciproca. Ma al contempo dare anche un contesto coerente e significativo alla multiformità e disomogeneità del libertarismo (senza per questo volerlo omologare e dunque snaturare), un contesto in grado di fornirgli una più acuta consapevolezza della propria identità e un più forte senso di appartenenza, cosa che può consentirgli di coagularsi nei nodi di questa rete al fine di avere un maggior impatto sulla scena sociale italiana.
E l’anarchismo ha davanti a sé molte chances per riacquistare vitalità e concretezza. Ma potrà farlo solo a due condizioni: se sarà in grado di depurarsi dalla propria «vulgata» – cioè da quella vera e propria volgarizzazione e sclerotica semplificazione delle teorie dell’anarchismo classico, riproposte secondo un’ortodossia decontestualizzata, di stampo religioso – e se sarà capace di rifondare un movimento con caratteristiche diverse da quelle attualmente prevalenti – ovvero la comunità degli anarchici attivi (in vari ambiti, forme e intensità) e non più il «partito» politico dei militanti.
Se questo avviene, l’anarchismo può diventare uno degli agenti più forti di questa rete; più forte proprio perché più consapevole della necessità di mettere in collegamento non solo la propria pratica e riflessione con quella delle varie realtà libertarie, ma anche la pratica e la riflessione delle diverse realtà libertarie tra loro. Questo gli consentirebbe di concorrere in modo significativo alla definizione di una pratica libertaria nel qui e ora, cioè quella parte della sua proposta imperniata sul «buon senso», pur mantenendo nello stesso tempo la propria irriducibilità all’esistente, cioè «l’utopia». In questa mistura di anarchia possibile si giocano non solo i rapporti con l’area libertaria ma il futuro stesso dell’anarchismo, in quanto forza sociale vitale e non reperto dell’archeologia industriale.
20/03/2024