La questione della donna
di Voltairine De Cleyre
fonte: Un’anarchica americana, elèuthera, Milano, 2017.
Titolo originale: The Woman Question. Conferenza tenuta in Scozia nel 1897 e pubblicata postuma per la prima volta su «The Herald of Revolt» di Londra nel settembre del 1913.
Una parte degli anarchici nega che ci sia una «questione femminile», ma questa affermazione è principalmente fatta da uomini e, si sa, gli uomini non sono certo le persone più adatte a comprendere la schiavitù della donna. Gli scienziati sostengono che le funzioni essenziali della società siano meglio espletate dagli uomini, mentre le funzioni riproduttive spettano alla donna, che deve anche procurarsi il cibo all’esterno della casa e occuparsi dell’educazione dei figli all’interno della casa; se perciò la donna dovesse entrare nella cosiddetta arena industriale, perderebbe necessariamente i suoi tratti più distintivi. Eppure all’interno della classe operaia non è così: non solo le donne lavorano duramente per svolgere i doveri domestici, ma molto spesso prendono lavori di cucito da fare in casa oppure vanno fuori per fare il bucato di altre persone. Il lavoro domestico che la donna svolge è infatti il lavoro peggio retribuito al mondo. Il matrimonio non è certo fatto nell’interesse della donna. È un impegno che l’uomo si prende nei confronti della metà maschile della società (le donne non contano all’interno dello Stato). Sposandosi, egli di fatto promette che non si sottrarrà più ai suoi doveri a discapito degli altri uomini! Eppure il matrimonio è screditato non soltanto dai suoi risultati fallimentari, ma persino dalle sue origini. Gli uomini potrebbero non avere affatto intenzione di diventare dei tiranni una volta sposati, ma molto spesso lo diventano, e non basta certo sbarazzarsi del prete o del funzionario statale di turno per far sì che ciò non avvenga. È lo spirito stesso del matrimonio che conduce la donna alla schiavitù.
Ma ora le donne entrano sempre di più nel mondo industriale e questo significa che nuove porte si stanno aprendo, liberandole finalmente dalla sfera domestica. Il che comporta che proprio come gli uomini hanno sviluppato una propria individualità una volta catapultati in ogni sorta di impiego e in ogni sorta di condizione, lo stesso succederà anche alle donne. E con lo sviluppo della diversità arriverà anche l’irrefrenabile desiderio di esprimersi a partire da questa diversità e, di conseguenza, la necessità che si manifestino quelle condizioni materiali che permetteranno tale espressione.
L’assenza di quiete che si vive normalmente in una casa milita contro l’emergere di queste condizioni, e così fa «l’abominevole improduttività» in cui viene svolto il lavoro domestico, che è al contempo, ma in scala infinitesimale, una lavanderia, un forno, un alloggio, una trattoria, un asilo nido. Comunque, con l’avvento delle concezioni legate al lavoro femminile nel mondo industriale, l’attuale idea di casa dovrà sparire. Nel frattempo, consiglierei a ogni donna che contempla un’unione sessuale di qualunque sorta, di non vivere mai insieme all’uomo che ama, nel senso di affittare una casa o una stanza insieme… e così diventare la sua governante.
Per ciò che concerne i bambini, considerando anche l’alto numero di infanti che muore ogni anno, l’allarme lanciato mi pare piuttosto ipocrita. Ma al di là di questa considerazione, il compito della donna dovrebbe essere, prima di tutto, quello di approfondire il concetto di sessualità e di informarsi sul controllo delle nascite: mai avere un bambino a meno che non lo si voglia davvero e mai volerlo egoisticamente, per il puro piacere di avere un giocattolo carino con cui intrattenersi. Mai averlo, inoltre, se non si è in grado di mantenerlo da sola.
Gli uomini, da parte loro, dovrebbero contribuire al mantenimento dei bambini, ma in virtù del fatto che tale supporto deve essere un atto volontario, gli uomini sarebbero comunque messi nella posizione di avere sì voce in capitolo sull’educazione e sull’allevamento dei figli, ma solo se il loro comportamento risultasse confacente.
traduzione di Lorenzo Molfese