Le edizioni Antistato (1975-1986)
di Amedeo Bertolo
fonte: Maurizio Antonioli, Editori e tipografi anarchici di lingua italiana tra otto e novecento, BFS edizioni, Pisa, 2007.
Nel 1975 Pio Turroni ha quasi settant’anni e sente venirgli meno la straordinaria energia che ha fatto di lui per mezzo secolo una delle principali figure dell’anarchismo italiano. Forse comincia a sentire i primi sintomi di quella “insufficienza vascolare cerebrale di cui da tanto tempo sono preso”, come scriverà in una lettera del marzo 1978[1]. Fatto sta che decide di passare la gestione della sua iniziativa editoriale, di cui è stato l’animatore per ben 25 anni, ai “giovani di Milano”, come li chiama lui, cioè al Gruppo Anarchico Bandiera Nera (G.A.F.), nelle persone di Amedeo Bertolo e Rossella Di Leo.
Amedeo Bertolo è, all’epoca, un trentaquattrenne docente universitario di Economia Agraria e Rossella Di Leo è una ventiquattrenne laureanda di Scienze Politiche. Entrambi sono collabotatori del mensile “A” (di cui Bertolo è stato direttore de facto dal 1971 al 1974) ed entrambi sono redattori della rivista internazionale quadrilingue “Interrogations”. Turroni è un muratore in pensione e un anarchico di vecchio stampo, nel bene e nel male: i “giovani di Milano” sono da anni impegnati in uno sforzo di arricchimento culturale e di rinnovamento dell’anarchismo. Un rinnovamento più vicino alle idee-forza dell’anarchismo classico che a quella disarmante e disarmata “vulgata” che domina il movimento da decenni. Turroni sa che i “giovani di Milano” sono diversi da lui, ma ciononostante li sente affini, quantomeno più affini di altri possibili “eredi”. Più affini nella passione anarchica, più nel pathos e nell’ethos che nel logos[2].
Così, nel maggio 1975, l’Antistato si trasferisce a Milano[3] con una “dote” di 3 milioni di lire, degli avanzi di magazzino per lo più invendibili e qualche credito per lo più inesigibile. Primo piccolo segno di discontinuità formale (con lieve disappunto di Turroni): il nome cambia da Edizioni dell’Antistato a Edizioni Antistato e vi si aggiunge come marchio il logo della rivista “A” ritoccato con una punta di rosso.
Il restyling grafico va ben oltre il logo. Con l’aiuto di Ferro Piludu, che accompagnerà tutta la vita dell’Antistato, viene definita un’immagine distintiva e coerente, dalla copertina all’impaginazione: libri ben fatti (per lo standard editoriale anarchico dell’epoca) e riconoscibili.
Ancora più sostanziali sono altri elementi di novità : l’elaborazione di un piano editoriale, il numero di libri programmato e l’importanza attribuita, nella diffusione, alla presenza nelle librerie (distribuzione commerciale).
Il piano editoriale: un piano di largo respiro, articolato per collane tematiche, per cui i singoli testi sono inseriti in un contesto progettuale e non pubblicati a caso, di volta in volta. Le quattro collane iniziali definiscono il progetto: una collana di classici anarchici[4], una di interpretazioni contemporanee dell’anarchismo[5], una di storia[6], una dedicata a contributi culturali libertari (in senso stretto e in senso lato)[7]. Col tempo si aggiungono a queste collane dei “fuori collana”[8] e tre effimere collane[9].
Il numero di titoli: il progetto prevede l’uscita di almeno quattro libri all’anno, per riuscire a costituire una “massa critica” sia culturale sia commerciale. La realtà si dimostrerà più ostinata dell’ottimistica ostinazione degli “antistatali”, cosicché solo nel 1976, 1977 e 1978 usciranno quattro volumi all’anno e dopo d’allora solo uno o due. Le cause? Soprattutto le difficoltà finanziarie, ma anche l’insufficienza delle risorse umane. Il lavoro, manuale e intellettuale, è tutto gratuito[10] e il previsto passaggio ad una parziale remunerazione delle mansioni di routine non potrà aver luogo per gli insoddisfacenti risultati economici.
La diffusione militante, attraverso gruppi, circoli, collettivi, individualità anarchiche, che costituisce quasi la metà del “fatturato”, è abbastanza consistente nei primi anni, poi va costantemente decrescendo, in parallelo con la crisi della militanza. Inoltre i pagamenti corrispondono solo parzialmente alle copie distribuite. Ci sono gruppi (non pochi) che usano il ricavato della vendita dei libri per pagare l’affitto, i manifesti, i volantini, e non rispondono ai solleciti fraterni… i responsabili si dimettono e non rispondono dei debiti pregressi… i collettivi si sciolgono… gli individui si ritirano “nel privato”…
La distribuzione attraverso le librerie “alternative” copre un altro quarto circa del “mercato” dell’Antistato, ma anche questa rete distributiva è costituita da “cattivi pagatori”, non migliori della rete anarchica. E comunque anche le vendite attraverso questo canale sono andate rapidamente calando con il “riflusso”, dopo l’effimera fiammata del ’77 che aveva fatto pensare ad una riapparizione creativa dello spirito del ’68.
La distribuzione nelle librerie “normali” non è mai veramente decollata. In dieci anni l’Antistato è passato attraverso tre diverse distributrici commerciali: i contratti venivano disdettati (dai distributori, non dall’editore!) per insufficienza di fatturato. Le vendite di questo canale, a parte cinque o sei casi, non superavano le due-trecento copie per titolo.
Così, nonostante il lavoro gratuito e le donazioni di vari compagni che vanno periodicamente a sanare il deficit[11], i costi continuano a superare i ricavi, imponendo dapprima una riduzione della produzione libraria (14 volumi fino al ’78, 12 tra il ’79 e l’86). E infine la chiusura[12]. Una chiusura “alla grande”, con Ciao anarchici, sontuoso album fotografico, in coedizione internazionale, sul grande incontro/convegno “Venezia 84”… e tuttavia una chiusura.
Ma questa è la parte triste della storia. La parte felice è che per un decennio critico l’Antistato ha fatto un ottimo lavoro sia per arricchire culturalmente l’anarchismo, sia per rafforzarne l’identità, sia per dargli dignità culturale all’esterno del movimento, in sinergica simbiosi mutualistica con “A”, con “Interrogations”, con il Centro Studi Libertari, con “Volontà”… Sono stati fatti conoscere in Italia autori come Colin Ward, Louis Mercier Vega, Murray Bookchin… Ci sono stati alcuni successi editoriali significativi: Bakunin e Ward 5.000 copie esaurite, Kropotkin e Bookchin 3.000 copie esaurite… Sono stati allacciati proficui contatti, a livello internazionale, con autori e case editrici libertarie…
L’Antistato è stata anche un’esperienza fondamentale per chi ha partecipato all’avventura. Quell’esperienza, i contatti, l’apertura culturale sono stati la base da cui è partita nel 1986 una nuova avventura editoriale: elèuthera. Ma questa, come si usa dire, è un’altra storia.
Note
[1] Questa breve storia, che per eleganza formale scrivo in terza persona, si basa sulla mia memoria, coadiuvata da qualche incursione nei sei voluminosi e un po’ caotici faldoni del Fondo Antistato (Archivio G. Pinelli di Milano) oltre che da conversazioni con alcuni miei compagni dell’epoca (e di oggi).
[2] Turroni non deve essersi pentito della sua decisione se, pochi mesi prima di morire, scrive in una lettera del novembre 1981 all’anarchico italo-americano Tony Martocchia: “Immagino come sarai stato interessato nell’incontrare Amedeo e Rossella. Vedo che li hai centrati, trovandoli esuberanti, pieni di entusiasmo, ragionatori coerenti idealmente”.
[3] Inizialmente in via Rovetta 27, in una stanzetta dell’Editrice A, poi in viale Monza 255, in coabitazione con il Centro Studi Libertari “G. Pinelli”.
[4] “…classici non tanto perché facenti parte del patrimonio storico dell’anarchismo quanto perché costituiscono ancora oggi, per vitalità e attualità, il punto di riferimento fondamentale del pensiero anarchico e più in generale della cultura libertaria”, come scrive A.B. in calce alla Presentazione di Campi, fabbriche, officine di P. Kropotkin, il primo titolo “milanese” dell’Antistato che apre anche la collana “classici del pensiero anarchico”. Seguiranno antologie di Bakunin, Malatesta, Armand.
[5] Apre la collana “anarchismo oggi” Anarchia come organizzazione, di C. Ward. Seguirà La pratica dell’utopia di L. Mercier Vega.
[6] “Contro la storia abbiamo chiamato la collana (…) perché suo oggetto saranno il movimento anarchico e più in generale i movimenti egualitari e libertari, quei tentativi cioè di emancipazione degli sfruttati e quel progetto rivoluzionario che attraversano la 'storia' (la storia dei padroni, la storia dello sfruttamento e della dominazione, la storia del potere e della lotta per il potere) e vi si oppongono. Così scrive A.B., presentando il primo libro della collana, Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna, di C. Semprun Maura. Seguiranno i quattro pesanti volumi di La C.N.T. nella rivoluzione spagnola di J. Peirats e L’altra anima della rivoluzione di P. Avrich.
[7] Apre la collana “segno libertario” Gli abiti nuovi del presidente Mao, una dissacrazione micidiale della mitica “rivoluzione culturale” cinese, cui seguiranno Lo Stato incosciente di R. Lourau, L’ecologia della libertà di M. Bookchin e, di L. Mercier Vega, La rivoluzione di Stato e Azione diretta e autogestione operaia.
[8] I voluminosi Atti dei convegni internazionali di studio su Bakunin (Bakunin cent’anni dopo) e sulla tecnoburocrazia (I nuovi padroni), il manuale di grafica per militanti Segno libero di F. Piludu e il reportage fotografico Ciao anarchici).
[9] “Idee per immagini” (un solo titolo: La rivoluzione volontaria, di E. Fraccaro e F. Santin); “I refrattari” (un solo titolo: L’anarchico triestino di U. Tommasini); “Ida Pilat Isca” (due titoli sull’anarchismo americano: I pionieri della libertà di R. Rocker e Laboratori di utopia di R. Creagh).
[10] Bertolo e Di Leo svolgono la maggior parte del lavoro editoriale, ma altri danno una mano, chi in maniera continuativa chi saltuariamente. In particolare, alcuni anarchici torinesi (Roberto Ambrosoli, Ornella Buti, Emilio Penna) si occupano, a partire dal 1980 della diffusione militante e a Milano, per gran parte del 1980, Luciano Lanza e Fausta Bizzozzero sostituiscono Amedeo e Rossella che si sono presi un “anno sabbatico”.
[11] In particolare gli italo-americani A. Bortolotti e V. Isca e l’italo-svizzero A. Carocari.
[12] Nel 1991 ci sarà, per iniziativa di alcuni anarchici torinesi e forlivesi, il tentativo di resuscitare l’Antistato, ma uscirà un solo libro: AA.VV., Il prisma e il diamante. Riflessioni anarchiche sulla libertà.