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Pinelli una storia Venezia 1984 Crocenera anarchica

Home Centro studi libertari - Archivio G. Pinelli

Visto che non viviamo più i tempi della rivoluzione, impariamo a vivere almeno il tempo della rivolta - Albert Camus

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«Materialismo e libertà», n. 1

 

MATERIALISMO E LIBERTÀ

di Amedeo Bertolo

 

Il primo numero di «Materialismo e libertà» esce a Milano nel gennaio 1963, il secondo è del febbraio, il terzo e ultimo del maggio. Otto pagine a numero, di formato poco superiore al foglio protocollo. La redazione è costituita da una coppia di anarchici a metà dei loro anni trenta (Eliane Vincileoni e Giovanni Corradini, direttore responsabile) ed alcuni giovanotti poco più che ventenni

(Amedeo Bertolo, Luigi Gerli, Silvio Cocco, Roberto Ambrosoli...). Otto paginette soltanto ma dense e ambiziose. Rileggendo quelle pagine oggi, si ha la non infondata impressione che l’ambizione (di rifondare la teoria e la pratica anarchica, su basi materialistiche, anzi, spavaldamente «meccanicistiche») sia poco più che velleitaria. Lo stile apodittico, polemico, spesso antipatico è l’ibrido risultato dell’impronta caratteriale e del retaggio intellettuale del direttore di «M. e L.» (suoi sono i principali scritti teorici) e delle giovanili «certezze», rigide perché fragili, dei più giovani redattori nonché della loro giovanile esuberanza passionale. Eppure...

Eppure le tre idee di base di quell’effimero «periodico di azione e studi libertari» sono solo tre, ma piuttosto forti. Non ideuzze. Uno: critica del marxismo, a partire dalla polemica ottocentesca (Bakunin, Cafiero, Merlino...) e come ideologia di una nuova classe dominante in ascesa (la «piccola borghesia» burocratica e tecnocratica). Due: l’analisi di questa nuova classe e del relativo processo storico («feudalizzazione»), mutuando creativamente gli apporti del dibattito tardo-trotzkista e post-trotzkista sulla natura sociale dell’URSS (Burnham, Rizzi...). Tre: la necessità di abolire, oltre alla proprietà privata giuridica dei mezzi di produzione, anche la «proprietà intellettuale», attraverso l’integrazione del lavoro, la rotazione degli incarichi e l’assemblea.

Non ebbe, «M. e L.», un grande successo nel movimento anarchico dell’epoca, un po’ per demeriti suoi e un po’ per la miseria culturale del movimento. Però gli elementi di novità di «M. e L.» (o meglio, la carica e la volontà innovative che esprimeva) erano importanti. Tant’è che vennero notati a distanza dall’attento e curioso intellettuale «francese» Louis Mercier Vega, che lo citò sei anni dopo nel suo Incrévable anarchisme. «M. e L.» era il primo – rozzo ma significativo – tentativo di pensare ecletticamente un anarchismo «neo-classico» (come faranno – a partire dagli anni Settanta e con migliori risultati – le riviste «A», «Interrogations», «Volontà», come il Programma dei Gruppi Anarchici Federati, come diversi convegni promossi dal Centro Studi Libertari di Milano). Ed anche il più recente emergere di un pensiero anarchico «post-classico» italiano – coetaneo dapprima e progressivamente sostitutivo poi di quello «neo-classico» – ha, in fondo, una delle sue radici personali e culturali in «Materialismo e libertà».

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Il Centro Studi Libertari nasce nel 1976 con la duplice finalità della costruzione di un archivio per la conservazione della memoria dell'anarchismo e del ripensare l'anarchismo alla luce del contesto sociale in cui opera al fine di renderlo un punto di riferimento alternativo alla cultura dominante.

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