Questa sessione, come e più di quella di ieri pomeriggio, avrebbe dovuto avere, a stretto rigor di logica, una collocazione non alla fine ma a mezzo del convegno, perché non vi si tirano conclusioni, bensì vi si avanzano ipotesi generali che, se pure partono da temi trattati in altre sessioni, però anche conducono a tematiche specifiche già discusse: rivoluzione, sindacalismo, ecologia, ecc.
Motivi tecnico-organizzativi ci hanno tuttavia fatto scegliere questa collocazione per le due sessioni plenarie in cui sono concentrati alcuni contributi a carattere più generale sul dominio e sulla sua negazione.
E d’altro canto non è privo d’una sua logica che un convegno di studi che si vuole "aperto" finisca non con delle conclusioni ma con un'ultima raffica di proposte da discutere. Il "pensare da anarchici", cioè il pensare in funzione della radicale negazione del dominio, s’è applicato nei giorni scorsi a vari campi specifici, a specifiche analisi e a specifiche proposte. In quest’ultima sessione il "pensare da anarchici" s’applica riflessivamente, s’applica a se stesso, s’applica all’anarchismo medesimo come filosofia e come movimento sociale.
La vita è identità e mutamento. Pensare un anarchismo vivente significa dunque, secondo me, pensare la sua identità e pensare il suo mutamento. Identità e mutamento: un binomio indissolubile finché un movimento è un movimento vitale, anche se nelle fasi statiche tende più al polo dell’identità (con rischio di sclerosi culturale) e nelle fasi dinamiche tende più al polo del mutamento (con rischio di amorfismo culturale).
Pensare un anarchismo vivente significa dunque riflettere sulla sua identità, leggendo il suo passato con orgoglio (un passato che è anch’esso una miscela di identità e mutamento), ma senza nostalgie e mitizzazioni. Significa individuare l’essenza dell’anarchismo, cogliere ciò che definisce l’identità anarchica al di là delle concrete manifestazioni storiche e geopolitiche in cui s’è concretamente determinato l’anarchismo. Non per disincarnarlo in una pura essenza filosofica da contemplare, ma per immergerlo nuovamente nelle diverse manifestazioni presenti del reale, per dargli una flessibilità, un’adattabilità che solo gli possono consentire di farsi ancora (come nei suoi tempi e luoghi migliori) espressione e strumento e riferimento per tutte le attuali forme di negazione teorica e pratica del dominio, in qualunque contesto sociale.
Pensare un anarchismo vitale, perciò, significa – contestualmente all’identità – pensare anche le trasformazioni che deve vedere intorno a sé e inventare dentro di sé, dopo un lungo periodo di ripetitività teorica e stagnazione pratica.
Le relazioni che ascolterete sono sufficientemente stimolanti e provocanti da consentirmi di non rubare altro tempo alla discussione continuando a esporvi le mie opinioni. Chi proprio ci tenesse a conoscerle può leggere il mio ultimo editoriale su "Volontà". In questa sede, come coordinatore della sessione, mi è obbligo passare la parola ai relatori.