«Volontà»: laboratorio di ricerche anarchiche
di Francesco Codello
Premessa
La rivista anarchica italiana «Volontà», fondata da Giovanna Berneri e Cesare Zaccaria nel 1946[1], rappresenta un’esperienza editoriale particolarmente significativa nel panorama della pubblicistica anarchica italiana ed europea.
Innanzitutto va ricordato che la sua principale animatrice, Giovanna Caleffi, moglie di Camillo Berneri, è stata una figura importante nell’anarchismo italiano e con solide relazioni internazionali, tra l’immediato secondo dopoguerra e la sua scomparsa avvenuta nel 1962[2]. «Volontà» è stata, negli anni che vanno dal 1946 al 1962 la più importante rivista anarchica italiana in una stagione difficile per l’anarchismo autoctono, uscito molto ridimensionato, come altri movimenti radicali, dalle macerie della guerra e, soprattutto, mutilato nelle sue forze dalla dittatura fascista. Ma è stato ancor più difficile orientare e rinnovare un pensiero, quello anarchico, in una stagione che ha visto imporsi una logica economica e culturale fortemente condizionata dalla Chiesa cattolica, dai partiti della ricostruzione post-bellica (Democrazia Cristiana e Partito Comunista in primis), che hanno, complice anche il clima internazionale fondato sui due blocchi contrapposti, governato da un lato ed egemonizzato l’opposizione dall’altro. In questo modo, di fatto, si è imposta una dialettica duale che poco spazio concedeva a possibili altre vie e a auspicabili culture laiche e libertarie. In questo contesto si può capire, sfogliando le pagine della rivista di questo periodo, la portata enorme dello sforzo fatto dai redattori e dal gruppo di collaboratori (ricordiamo il ruolo fondamentale di Pio Turroni[3]), di rinnovare, senza negare la tradizione classica, l’anarchismo e, al contempo, aprire un processo di “contaminazione” con quelle espressioni culturali e finanche politiche di una cultura laica e libertaria comunque presenti e attive nel contesto dell’Italia.
Le pagine della rivista sono infatti arricchite di collaboratori internazionali (George Orwell, Albert Camus, Paul Goodman, Vernon Richards, Alex Confort, Herbert Read, Louis Mercier Vega, George Woodcock, Gaston Leval, Luce Fabbri, Giovanni Baldelli, Colin Ward, e altri) che possono offrire uno sguardo più articolato e complesso della realtà economica, politica, sociale e culturale dei diversi paesi e quindi proporre utili spunti di riflessione a un lettore italiano troppo spesso disattento rispetto a una visione globale delle problematiche. I contributi italiani non sono da meno se ricordiamo la qualità dei vari articoli che appaiono nelle pagine di «Volontà» (Gaetano Salvemini, Ignazio Silone, Danilo Dolci, Giancarlo de Carlo, Carlo Doglio, Pier Carlo Masini, Ugo Fedeli, Armando Borghi, Guido Tassinari, Luigi De Marchi e molti altri). Ogni numero contiene anche pagine scelte di autori classici dell’anarchismo che, a giudizio dei redattori, hanno ancora un potenziale di attualità e possono delineare i contorni più generali di un pensiero anarchico rinnovato.
Inoltre, nel tentativo di assumere uno sguardo più pragmatico e propositivo, rispetto a quello più tradizionalmente identitario, nella rivista si possono leggere racconti e analisi di esperienze concrete in diversi ambiti della vita sociale che si caratterizzano in senso libertario. Così troviamo (solo come esempio) esperienze educative alternative (Summerhill, gli esperimenti didattici di Ernesto Codignola a Firenze, la colonia Berneri, il rinnovamento didattico dell’attivismo pedagogico, l’attività di Aldo Capitini, ecc.), le vicissitudini delle comunità anarchiche di produzione e di organizzazione complessiva della società nella rivoluzione spagnola del 1936, il problema della casa e dell’organizzazione urbanistica delle città, la vita dei kibbutzim in Palestina prima e Israele poi, la promozione di una concezione laica della maternità e le problematiche relative al controllo delle nascite e della contraccezione, il sostegno a iniziative e lotte per la laicità della cultura e delle organizzazioni sociali e assistenziali, il supporto nei confronti delle lotte operaie e contadine, l’antimilitarismo e l’obiezione di coscienza, il pacifismo e le lotte contro l’industria bellica, stretti argomenti di attualità sia italiana che internazionale, esperienze culturali e artistiche, ecc. Insomma una varietà di questioni e un approccio molto aperto caratterizzano le pagine di «Volontà» in questi primi anni di vita, tanto da poterla considerare veramente un esempio di come dovrebbe essere intesa e redatta una rivista che, pur recuperando tutte quelle ampie parti della tradizione anarchica classica ritenute ancora attuali, possa al contempo attingere da quei movimenti sociali e culturali antiautoritari che spontaneamente sorgono. Con lo scopo palese di innervare un pensiero che altrimenti rischiava di essere definitivamente escluso dall’attenzione di settori di popolazione non ristretti a quelli strettamente militanti.
Con la scomparsa di Giovanna Caleffi Berneri inizia un periodo difficile e travagliato per la rivista. Si alternano diversi redattori e responsabili e così facendo si evidenzia una serie di problemi legati, da un lato, a una depauperazione generale delle forze anarchiche italiane e, dall’altro, all’incapacità di far fronte in modo efficace allo sviluppo della società italiana e internazionale in cui trionfano le logiche capitalistiche e stato-centriche. Anche quando il movimento giovanile e operaio della fine degli anni sessanta irromperà nella scena politica e culturale italiana, «Volontà» sembra ripiegata su se stessa e lontana dai diffusi fermenti innovativi che agitano la società italiana. Nel 1969 la periodicità diviene bimestrale, paradosso, questo, che rivela proprio l’irrompere di una crisi politica e una involuzione tutta identitaria, molto spesso arroccata a difendere un pensiero più puro e meno meticciato. Nel momento in cui esplode la contestazione studentesca e operaia in tutto il mondo occidentale, si apre un rinnovato interesse (anche) per le idee libertarie e anarchiche e un numero sempre più consistente di giovani si avvicina al movimento anarchico, la rivista riduce la sua periodicità. Inoltre, cosa ancor più significativa, le rivolte sociali che sono protagoniste di questo periodo, la nascita di nuove forme organizzative di base, la guerra del Vietnam, l’esplosione di movimenti come i provos e gli hippy, tutte le nuove e forti istanze sociali e culturali di segno egualitario e antiautoritario, trovano spazio marginale nelle pagine del bimestrale. Persino le drammatiche vicende della strage di Piazza fontana a Milano del 12 dicembre del 1969, la strategia della tensione, la morte “accidentale” di Giuseppe Pinelli e la stagione dello stragismo neo-fascista e di Stato, non occupano che parti minime all’interno della rivista. Lo sforzo dei vari redattori sembra più indirizzato a segnare le differenze tra l’anarchismo e il marxismo su un piano più teorico e dottrinale. Sforzo importante all’epoca ma certamente non tale da dover escludere l’attenzione nei confronti dei movimenti di protesta e di ribellione che manifestano tratti significativi di libertarismo e che potevano essere maggiormente valorizzati. Questa diffidenza verso questo fenomeno di contestazione rivela anche l’incapacità e l’impreparazione dei redattori nel cogliere quanto di positivo e di libertario poteva emergere da questa nuova situazione e, soprattutto, il drammatico isolamento rispetto a singole e specifiche esperienze in atto. La rivista diventa marginale anche rispetto al movimento anarchico italiano, calano gli abbonamenti e diminuiscono significativamente i lettori. Sarà solo a partire dall’ultimo numero del 1976 che una nuova redazione, il gruppo anarchico “Franco Serantini” di Valdobbiadene (TV) aderente ai Gruppi Anarchici Federati, che già editavano A - Rivista anarchica mensile ed erano attivi anche sul piano delle iniziative editoriali e culturali (famosi i grandi convegni internazionali e i seminari) che «Volontà» risale la china e si ripropone completamente rinnovata e si ricollega idealmente alle origini. Questo percorso si completerà con il passaggio della redazione a Milano (Gruppo Anarchico Bandiera Nera) nel 1980 e durerà fino al 1996[4].
Laboratorio di ricerche anarchiche
Col primo numero del 1980 «Volontà» diventa trimestrale, assume una grafica completamente rinnovata, si allargano ulteriormente i collaboratori a livello internazionale. A partire dal 1987 i numeri (di fatto) diventano tre e sono prevalentemente monografici.
La rivista si definisce come un laboratorio di ricerche anarchiche. Laboratorio perché appare evidente la vivacità e la pluralità degli approcci alle varie tematiche, dà proprio il senso di una elaborazione in divenire, animata da curiosità intellettuale e sperimentazioni culturali. Ricerche perché privilegia l’esplorazione rispetto alla dichiarazione. Anarchiche in quanto viene mantenuto fermo il quadro di riferimento generale e l’identificazione col pensiero anarchico.
Nell’editoriale del primo numero del 1980 si esprime chiaramente il passaggio editoriale rispetto agli anni del declino e si giustifica la scelta del trimestrale. Infatti così la redazione scrive: «Da molti anni V. è alla ricerca di una sua identità. Non ideologica beninteso: quella è ed è stata sempre fuori discussione. È alla ricerca di una identità diciamo editoriale, di un suo ruolo nell’editoria anarchica […] La nostra scelta in merito, che peraltro non fa che accentuare la scelta degli ultimi due anni, è di farne uno strumento di aggiornamento e di approfondimento culturale anarchico. Il che, secondo noi, significa cercare di fare una rivista che, fedele al patrimonio storico-ideologico dell’anarchismo, si apra agli apporti del pensiero libertario contemporaneo, si arricchisca nel confronto con i filoni più interessanti delle scienze sociali. L’anarchismo non è una tradizione gloriosa, ma obsoleta: esso è vivo e fecondissimo complesso di analisi, esperienze, intuizioni. Esso è un ricco “capitale” di lavoro teorico e pratico passato, che però solo un continuo lavoro teorico e pratico presente può mettere a frutto»[5]. La convinzione della redazione è che in Italia ci sia bisogno di una rivista così pensata e realizzata, che consideri strategica una teoria anarchica fondata e abbinata sistematicamente alla prassi libertaria. Questa sfida è rivolta non solo al movimento anarchico ma anche a una crescente area culturale che, più inconsapevolmente che consapevolmente, stava riscoprendo l’approccio libertario e diverse tematiche antiautoritarie. L’assenza di uno strumento come quello che i redattori intravedono nella rivista, lascia quest’area, disomogenea, spontanea, plurale, priva di un possibile riferimento culturale anarchico contemporaneo, favorendo l’estensione dell’egemonia marxista (maggioritaria) e liberal-socialista (minoritaria) nella cultura progressista e di sinistra italiana. Ecco dunque delineata la linea editoriale che si caratterizza come un progetto culturale e politico, oltre che una sfida a tutto campo, di rinnovamento del pensiero e dell’azione anarchica. La chiusura di quella breve ma intensa esperienza che è stata Interrogations (Rivista internazionale di ricerche anarchiche in quattro lingue, dicembre 1974 – giugno 1979, rivista fondata da Louis Mercier Vega), di fatto libera le energie di alcuni collaboratori di diversi paesi e italiani che troveranno in «Volontà» un nuovo spazio di produzione e ricerca culturale. Lo scopo è soprattutto quello di proporre uno strumento di aggiornamento del pensiero anarchico attraverso il confronto, vero, aperto, non rigidamente ideologico, con quegli elementi, presenti nelle diverse scienze sociali, che maggiormente possono meticciare una cultura anarchica in continua e incessante evoluzione. Uno sforzo notevole ma ritenuto necessario proprio per traghettare in modo corretto il passaggio da un anarchismo dichiarativo a uno pragmaticamente aperto e, al contempo, però fortemente ancorato ai valori di sempre[6]. A mettere a fuoco bene questa tensione tra le idee essenziali e ancora valide dell’anarchismo e la necessaria opera di rinnovamento, è utile prendere a prestito il titolo di un saggio, pubblicato su Interrogations, di Nico Berti che così riassume emblematicamente la sfida di un anarchismo all’altezza delle sfide contemporanee: l’anarchismo nella storia ma contro la storia[7].
Il contesto storico nel quale si sviluppa questa ricerca libertaria e nel quale si inserisce la rivista è quello che, in Italia, caratterizza una fase della società in cui vengono meno alcune ipotesi tradizionali di cambiamento e trionfa uno sviluppo consumistico del capitalismo. Gli argomenti che il laboratorio di ricerche anarchiche sviluppa, sono un tentativo importante di rispondere a questa nuova situazione sociale e culturale, dopo la crisi profonda che attraversa tutti i movimenti di contestazione figli del sessantotto e dopo che, anche tra i militanti più attivi, si incunea una sorta di riflusso e disillusione rispetto alla possibilità reale di un cambiamento decisamente radicale[8]. Situazione difficile da interpretare soprattutto perché si corre il rischio di abbandonarsi a teorizzazioni astratte, non verificabili nelle sperimentazioni concrete, e, inoltre, diventa ancor più importante non abbandonare una ricerca di soluzioni diverse su cui fondare un’opera di ricostruzione culturale libertaria. Lo stesso movimento anarchico più tradizionale si rifugia sempre più in un continuo riferimento identitario, incapace spesso di cogliere le nuove sfide che una società più complessa e più eudemonistica pone anche a un pensiero radicale, quale quello, appunto, anarchico. Una possibile soluzione viene colta dai redattori della rivista nel tentativo di privilegiare, in questa fase storica, la dimensione libertaria, quindi più pragmatica e pluralista, rispetto a una più tradizionalmente anarchica, senza peraltro negare quest’ultima, ma cercando di arricchirla profondamente. Un punto di partenza, o meglio di ri-partenza, è sicuramente rappresentato dal Convegno internazionale anarchico «Venezia 1984» che raccoglie i contributi dell’anarchismo mondiale in un confronto straordinario che, anche in «Volontà», segnerà un passaggio decisivo tra un anarchismo ripiegato su se stesso e un libertarismo ancorato a un nuovo anarchismo[9].
Dalla rivoluzione come evento alla rivoluzione come processo. L’immaginario sociale e l’utopia anarchica.
Uno dei temi che fin da subito appaiono inderogabili al gruppo redazionale è quello di aprire una riflessione profonda e veramente smaliziata sul concetto di rivoluzione. I redattori della rivista sono stati tutti attivi militanti anarchici e, per la maggior parte, aderenti a quei Gruppi Anarchici Federati. I GAF hanno rappresentato l’organizzazione anarchica più innovativa sul piano sia culturale che politico negli anni che vanno dalla fine del 1960 fino a tutti gli anni settanta. Questa organizzazione, numericamente minoritaria rispetto alle altre due Federazioni (FAI e GIA) italiane, ha però elaborato un nuovo modello organizzativo, fondato sulla federazione di gruppi di affinità, e costituito un esempio di organizzazione di tendenza e non di sintesi come le altre due. Ciò ha permesso, sia di affinare relazioni personali intense, sia di sperimentare la forza di un pensiero collettivo. Queste due caratteristiche si riproducono all’interno della rivista e ne determinano una specifica peculiarità. In particolare questa metodologia che genera un pensiero collettivo, consente fin da subito di praticare una ricerca condivisa che, pur nelle inevitabili specializzazioni disciplinari individuali, si caratterizza per costruire una visione d’insieme di ogni problematica socio-culturale affrontata. Inoltre dimostra la forza estremamente decisiva del pensare collettivamente, un’elaborazione che produce un valore aggiunto al pensiero e al contributo, pure fondamentale, che scaturisce dalle intuizioni individuali. Questi anni di militanza rivoluzionaria hanno forgiato una comunità di ricerca e di confronto che si riverbera all’interno del lavoro redazionale. Questi attivisti anarchici hanno tutti attraversato la stagione più vivace dell’anarchismo italiano ed europeo e, lungo tutti gli anni settanta del secolo scorso, hanno dato vita a numerose iniziative sia culturali che strettamente militanti. Li animava la condivisa convinzione che l’anarchismo classico andasse rinnovato ma che le lotte e le agitazioni, nelle quali erano attivamente inseriti, avessero come esito più che possibile, anche se mai in modo fideistico, una trasformazione rivoluzionaria della società. Infatti, le riflessioni che la rivista propone sono anche il frutto di una serie di seminari che vengono organizzati proprio per stimolare, con contributi diversi e plurali, interdisciplinari e specifici, una elaborazione che risponda a due criteri essenziali: essere la risultante di un pensiero collettivo e focalizzarsi su alcuni nodi ritenuti strategici per il rinnovamento del pensiero anarchico e dell’azione libertaria. Di fronte agli eventi storici dell’epoca, alla disfatta e alla deriva autoritaria e stalinista della lotta armata, al crollo dei movimenti contestatori e alla sbornia sociale dettata dalla capacità del sistema capitalistico di plagiare l’immaginario sociale popolare, per dei militanti critici e insoddisfatti come quelli di «Volontà», il problema di come essere contro la storia (del dominio e dello sfruttamento) ma nello stesso tempo dentro la realtà sociale, si poneva in maniera inevitabile. Gli sforzi quindi si concentrano proprio nel definire, alla luce dell’esperienza storica e delle sensibilità individuali, e nel cercare tenacemente una terza via tra ripiegamento identitario e pragmatismo fine a se stesso. Ecco pertanto che proprio la riflessione sul concetto e sulla validità della rivoluzione assume una valenza strategica non più eludibile. Si tratta per questa ricerca collettiva di definire il rapporto che intercorre tra tempi storici e tempi rivoluzionari, in un contesto di indebolimento progressivo del movimento anarchico tradizionale e di forte influenza di un immaginario sociale collettivo sempre più dominato e colonizzato da un’ideologia autoritaria ben più subdola e strisciante di quella precedente. Le analisi che avevano caratterizzato la ricerca dei GAF e tutto il lavoro della rivista Interrogations sulla tecno-burocrazia come nuova classe in ascesa continua verso il potere, appaiono necessarie di un ampliamento a tutto campo e il vecchio dibattito della sinistra socialista (genericamente intesa) tra riformismo e rivoluzionarismo, di essere superato.
Intorno a questa questione (in modo non sempre esplicito ma spesso trasversale ad altri argomenti) nelle pagine della rivista trovano spazio e agitano la discussione numerosi interventi[10]. «Volontà» delinea una concezione del cambiamento radicale che recupera, sostanzialmente, la tesi di Élisée Reclus del rapporto tra rivoluzione ed evoluzione[11]. L’idea che emerge è quella di un superamento della concezione classica di rivoluzione come evento, a favore di una concezione che pensi a una serie di accelerazioni, intervallate da periodi più sotterranei di erosione, e quindi più a un processo, a una dinamica conflittuale continua, a una serie infinita di piccole trasformazioni, piuttosto che a un esito catartico. Non è un caso se in questi anni nelle pagine della rivista trovano spazio contributi fondamentali come quelli di Colin Ward, Cornelius Castoriadis, Murray Bookchin, Tomas Ibañez, Eduardo Colombo, John Clark, Marianne Enckell, Carlos Semprun Maura, Claude Lefort, René Lourau, Pierre Clastres, Noam Chomsky, unitamente a quelli di Amedeo Bertolo, Nico Berti, Roberto Ambrosoli, Luciano Lanza, Rossella Di Leo (per citare solo i principali). La discussione, che non dimentichiamo è sempre qui intesa come ricerca, non chiude il percorso in una tesi data per definitiva, ma le varie idee interrogano continuamente la questione, producendo proprio quel pensiero collettivo di cui abbiamo precedentemente parlato. Presupposto però per qualsiasi cambiamento radicale è mutare profondamente l’immaginario individuale e sociale: problema di non facile soluzione ma essenziale per la redazione. A questo scopo nella rivista appaiono diversi contributi che, sempre in un confronto aperto, pongono la questione secondo diverse prospettive[12]. Costruire un forte immaginario anarchico significa cogliere la sua funzione utopica, la sua carica radicale e sovversiva, destabilizzante le abitudini consolidate e tutti i paradigmi del dominio. Scrive Amedeo Bertolo: «Una trasformazione profonda delle strutture sociali fondamentali – una “rivoluzione”, comunque la si voglia intendere – esige anche una trasformazione profonda delle strutture psicologiche, e l’una e l’altra avvengono solo sotto la pressione di una forte carica emozionale, una forte e passionale volontà di trasformazione presente sia in agenti sociali trainanti […], sia in consistenti ambienti popolari […] Deve cioè essersi sufficientemente diffuso un immaginario non solo lucidamente razionale ma anche emozionalmente ricco»[13]. In questa prospettiva va da sé che il dibattito (innescato da Murray Bookchin[14]) tra anarchismo sociale e come stile di vita, viene risolto superando una forzata contrapposizione tra i due poli della questione. Infatti «Volontà», in una lettura attenta della sua linea editoriale, appare sempre poco propensa ad accettare una schematica contrapposizione duale delle specifiche questioni che affronta, cercando di far intravedere o, quando possibile, proporre, una lettura aperta della realtà, nel senso di stimolare con tenacia la ricerca di una terza (quarta, quinta, ecc.) via per evitare di cadere nel gioco, funzionale alla logica del dominio, della contrapposizione duale (tutto sommato hegelian-marxista) delle interpretazioni della società e della cultura. Risulta dunque palese ed evidente che «non vi può essere un sistema anarchico come punto d’arrivo – vicino o lontano – dell’umanità. C’è nell’utopia anarchica uno spazio della libertà da esplorare, uno spazio in cui sperimentare infinite forme sociali tendenzialmente anarchiche, uno spazio della libertà in cui coniugare in infinite forme l’eguaglianza e la diversità»[15]. Questo sforzo di uscire dalle ideologie dominanti e di liberare il pensiero anarchico dalle influenze che soprattutto il marxismo poteva aver messo in campo, non fa che riprendere quello sguardo tutto pragmatico che ha caratterizzato l’anarchismo di pensatori, peraltro molto presenti nelle pagine della rivista, come Colin Ward che scrive: «L’alternativa anarchica è quella che propone la frammentazione e la scissione al posto della fusione, la diversità al posto dell’unità, propone insomma una massa di società e non una società di massa»[16].
Per costruire una società libertaria è necessario avere la consapevolezza che le radici del dominio «non sono nella natura ma nella cultura, non nelle cose ma nell’immaginario. Così la rivolta individuale e collettiva contro il dominio è possibile solo se la si pensa possibile, se si pensa possibile ciò che l’inconscio statale e la ragione di Stato ci dicono impossibile, solo se il non luogo dell’utopia libertaria ed egualitaria nega il luogo dell’ideologia gerarchica»[17]. Capovolgere l’immaginario sociale in direzione antiautoritaria significa fondare di fatto un immaginario sovversivo, radicalmente trasformativo e istituente. «L’utopia vive tutt’intera nella rottura che stabilisce con ciò che è. Quando, uscendo dall’istante, si introduce nel tempo storico è tutta l’istituzionalizzazione politica esistente che viene messa in causa e negata dalla possibilità di un’alterità utopica. Allora la rottura si chiama rivoluzione. Ma la rivoluzione non è la fine della storia, è solo un momento della sua continuità in cui un mutamento qualitativo sconvolge le istituzioni sociali»[18]. Il cambiamento, secondo le analisi prodotte in «Volontà», perché vada nella direzione libertaria e non autoritaria è inevitabilmente rivoluzionario, in quanto si pone radicalmente in modo diverso dall’esistente, è graduale perché è successivo, è culturale perché lavora e si insinua nei paradigmi delle abitudini e delle presunte certezze, ma è anche sociale e concreto perché necessita di continue rotture, non solo simboliche ma anche fattuali. «La trasformazione radicale è possibile solo con il prodursi di una situazione anomala che veda il susseguirsi di trasformazioni qualitative accelerate, che cioè anestetizzino il processo di riproduzione della paura della libertà e che dunque modifichino radicalmente l’immaginario collettivo»[19]. Il dibattito si sviluppa continuamente perché quello della rivoluzione è un nodo storico e ideologico fondamentale in questa fase storica dell’anarchismo non solo italiano. Si accentuano le sottili e precise differenze tra chi si preoccupa di recuperare, aggiornandola, la concezione ritenuta fondativa del pensiero anarchico, vale a dire quella espressa dagli autori classici e dalle esperienze storiche più qualificanti (vedi quella della rivoluzione spagnola del 1936[20]) e chi, con una rottura più accentuata rispetto alla tradizione, argomenta in termini più gradualisti il proprio progetto di cambiamento. Questa discussione non termina e non si esaurisce perché lo stile del confronto è sempre caratterizzato da uno sforzo dialogico (e non dialettico), non c’è quasi mai la logica «io vinco tu perdi» ma quella del «laboratorio di ricerche anarchiche».
Il significato del dominio e il problema della libertà. Oltre la democrazia.
Definire cosa significhi per un anarchico il concetto di autorità, potere e dominio, di come questi termini si sostanzino nella realtà sociale, politica, culturale, economica, relazionale, di quali possano essere le espressioni più o meno evidenti e, soprattutto, di cosa sia esattamente la libertà anarchica, in che cosa si differenzi dalla concezione marxista e liberale, sono questioni che accompagnano trasversalmente molti numeri della rivista. Il problema del Potere e le sue implicazioni con la teoria anarchica sono affrontate particolarmente nei numeri due e tre del 1983, con contributi vari[21]. Innanzitutto viene esaminata la questione terminologica ritenuta indispensabile premessa epistemica dei vari concetti presi in esame. Con un illuminante saggio Amedeo Bertolo distingue tra autorità, potere e dominio e sul loro significato alla luce dell’interpretazione anarchica. Autorità e potere hanno ambedue due valenze diverse: autorità come competenza riconosciuta liberamente (autorevolezza) contrapposta a posizione determinata da una gerarchia istituita, potere come «potere di fare» (espressione della libertà anarchica) in contrapposizione al «potere di far fare», cioè «dominio» (esercizio istituzionalizzato della forza). Questa distinzione libera ogni sospetto di «ingenuità concettuale» attribuita ingiustamente all’anarchismo e gli restituisce un valore concettuale che d’ora in avanti non potrà più essere ignorato. Il possesso ineguale di potere sta alla base di ogni società autoritaria, il dominio è trasversale alla destra e alla sinistra, solo l’anarchismo è in grado di rompere questo schema di relazioni interpersonali, economiche, politiche, culturali e sociali. Il potere, nella sua valenza polisemica, è il neutro confine tra libertà e dominio. Infatti «poter fare» è espressione di massima libertà (non solo libertà individuale ma in quanto libertà sociale) ma «poter far fare» è esercizio violento del privilegio e quindi negazione della libertà stessa in quanto antitesi dell’uguaglianza. Anarchia non significa anomia ma scelta consapevole e responsabile di norme liberamente definite, accettate e modificabili in ogni momento garantendo non un’idea astratta di dissenso ma le condizioni per cui dissentire e realizzare alternative è comunque garantito secondo quella concezione pluralistica del vivere sociale che caratterizza questo tipo di anarchismo. Ricordiamo che il punto di riferimento costante dei redattori della rivista è quella concezione bakuniniana della libertà secondo la quale la mia libertà non finisce dove comincia la tua (concezione liberale) ma la mia libertà non si può compiere se tu non sei altrettanto libero (libertà sociale anarchica).
Ma la libertà nella sua eterna lotta contro il dominio si può esprimere concretamente solo se si pone il problema della «servitù volontaria» che è drammaticamente presente in ogni società contemporanea. Eduardo Colombo analizza il paradigma generale dell’obbedienza ritenuta la prima condizione dell’esistenza e della riproducibilità del dominio. Una volta che tutto ciò viene assimilato nell’immaginario collettivo ecco che una servitù «volontaria» governa le azioni degli individui e dell’intera società, quindi capire con quali meccanismi l’obbedienza e la passività penetrano negli esseri umani diventa strategico. Colombo analizza, avvalendosi della sua formazione psicoanalitica, la «costituzione del potere al livello simbolico della significazione e la sua riproduzione fantasmatica e istituzionale». John Clark, Eugéne Enriquez, insistono sullo stesso argomento, con sguardi diversi, però tesi comunque a scandagliare le radici su cui si fonda il dominio e sui si esercita l’obbedienza. Con Rossella Di Leo abbiamo invece l’introduzione di un altro aspetto fondativo del potere e del dominio cioè quello che si esplica nella relazione di genere. Di Leo lo fa avvalendosi di uno sguardo antropologico che la porta a rifiutare una spiegazione monocausale tipica di un certo femminismo per abbracciare, pur partendo da una relazione di dominio specifica, le strutture paradigmatiche e generali delle relazioni autoritarie. Infine va registrata l’analisi di Tomas Ibañez che, recuperando le teorie di Michel Foucault, non può esistere una società senza potere. Non è possibile una comunità anomica, priva di legami sociali, in grado di vivere senza processi decisionali che possano valere per tutti. Bisogna dunque elaborare una concezione libertaria del potere poiché questo attraversa comunque le relazioni orizzontali oltre che (ovviamente) verticali. Naturalmente Ibañez parla qui del potere come espressione concreta e garantita del fare mentre ribadisce la contrarietà radicale alla metamorfosi di questo potere in dominio (potere di far fare). L’anarchismo è destinato all’impotenza se non definisce il potere come l’insieme delle regole da tutti liberamente prodotte e accettate, comprendente tanto il processo decisionale quanto la sua conseguente applicazione. Predomina in questo dibattito, come si può cogliere, una sottolineatura della libertà anarchica come libertà di piuttosto che libertà da, quindi una rivalutazione del positivo (della concretezza sperimentale) rispetto a una predominanza del negativo. Tutti concordano nel sottolineare la valenza limitante della prospettiva liberale di una divisione del potere: non si tratta di ridurre e di bilanciare il potere quanto di trasformarlo (o meglio distruggere la sua trasformazione in dominio)[22].
Va da sé che si impone, a questo punto, un ragionamento sul rapporto tra il politico e il sociale e sui limiti della democrazia. La redazione di «Volontà» è ben consapevole che a questo punto della ricerca si aprono alcuni nodi dirimenti che, se affrontati in modo originale e innovativo, mettono in evidenza alcune questioni irrisolte nella vulgata anarchica. È soprattutto la sfida che lancia Nico Berti[23] il quale sostiene che la politica è quella scienza e quella pratica che, a favore di chi la esercita, gestisce le tensioni che la realtà produce. Ogni società, anche una libertaria, non può prescindere dalla politica e l’anarchismo classico, sempre secondo Berti, non è stato in grado di produrre una sua politica. Nel condannare le forme storiche del politico l’anarchismo si è barricato nel considerare il sociale come l’unica espressione di interesse specifico. Negando la politica, nell’incapacità di averne una propria, il pensiero e la prassi anarchica si sono consegnate all’impotenza. Berti riprende, differenziandosene in parte, le analisi che nelle pagine di «Volontà» sono state sostenute da Castoriadis, Miguel Abensour, Lefort, Thom Holterman, Alain Thèvenet, circa il loro, diverso, tentativo di risolvere, assorbendolo, il politico nel sociale[24]. Come lucidamente sosterrà più tardi, Berti conferma che la concezione anarchica classica attribuisce alla dimensione sociale il compito di neutralizzare il ruolo della politica, fallendo come la storia del socialismo anarchico dimostra, su tutto il campo e consegnando l’anarchismo stesso alla marginalità e all’impotenza. Per uscire da questa situazione l’anarchismo deve dunque dotarsi di una teoria e di una prassi politica. Che cosa questo significhi, che implicazioni ci siano, che contraddizioni si palesino, e, soprattutto, quale può essere una teoria politica dell’anarchismo post-classico, appare subito a tutti una grande sfida.
Le prime risposte a queste cruciali domande arrivano da Colombo e Bookchin[25], che da un lato si riconosce (Colombo) che la peculiarità della politica consiste nella sua intenzionalità e autoreferenzialità ma che, come insegna la Rivoluzione Francese, politico e sociale non possono essere separati, ma come accaduto nell’istanza politica del 1789 e in quella sociale del 1793, non vi può essere soluzione di continuità rivoluzionaria tra le due istanze. Dall’altro lato (Bookchin) ritiene che quella che viene indicata comunemente come politica non è altro che tecnica dell’organizzazione statale. Ma la politica non si esaurisce in questa funzione, anzi, il suo ambito fisico ha quasi sempre coinciso con la città. Proprio nel conflitto che si è perennemente sviluppato tra città (intesa come comunità) e Stato è possibile cogliere i segni di una ricostruzione di una politica sociale.
A questo punto, la discussione inevitabilmente si indirizza nel tentativo di ipotizzare una visione politica dell’anarchismo che passa prima attraverso la critica alla democrazia reale e poi nell’individuazione delle forme alternative libertarie di organizzazione della vita sociale.
Da sempre una delle preoccupazioni dei pensatori anarchici è stata quella di denunciare la fallacia (in termini di vera libertà e autentica uguaglianza) del sistema democratico. Sia nei pensatori classici (a partire da Pierre Joseph Proudhon e fino a Errico Malatesta) l’anarchismo ha sottolineato che anarchia e democrazia sono concetti diversi e, per certi aspetti, inconciliabili. Non poteva che essere così in un’epoca che va dall’ottocento alla prima metà del novecento (negli Stati Uniti anche prima). L’irrompere dei sistemi dittatoriali in Europa, il fascismo e il nazismo in primis, ha però messo in evidenza la necessità di rivisitare questa diversità e, soprattutto, di capire quale fosse l’evoluzione che la democrazia stava compiendo con l’irrompere della globalizzazione e del capitalismo finanziario[26]. Questo scenario è ben presente nelle pagine di «Volontà» e diversi contributi vengono pubblicati con lo scopo di aggiornare questa discussione[27].
La domanda centrale che ci si pone è: l’anarchismo è democratico? La risposta non può, secondo la redazione, che essere duplice. L’anarchismo infatti contiene la democrazia ma, al contempo, pretende di superarla in quanto la proposta di organizzazione sociale che gli anarchici ipotizzano va oltre le regole della democrazia: rappresenta un al di là del politico come categoria resasi autonoma dal sociale. Amedeo Bertolo sostiene la tesi che «democrazia e anarchia siano fra loro non riducibili l’una all’altra ma (a determinate condizioni) neppure antitetiche, che l’anarchia sia insieme la forma più compiuta della democrazia ma anche un suo irriducibile superamento. […] Un al di là quantitativo e insieme qualitativo […] Così la concezione politica degli anarchici è, deve essere, più democrazia, oltre che un’altra cosa. Se no è un al di qua. E così infatti gli anarchici ritengono che sia: di più e altro […] L’anarchia, nella fattispecie, può essere concepita come forma estrema di democrazia e come forma altra di costruzione dello spazio politico. Oppure, addirittura, come qualcosa che sta al di là dello stesso spazio politico»[28]. Quando parliamo di democrazia, ci riferiamo alla democrazia normativa o a quella reale, si chiede Tomas Ibañez in un interessante contributo: «La democrazia reale non rispetta neppure uno solo dei principi della democrazia normativa che, tutto sommato, è un modello, se non accettabile, abbastanza ragionevole»[29]. Lo stesso accade con l’anarchismo, quindi ciò che conta è misurare il tasso di concretezza e di applicabilità anche dell’anarchismo e sviluppare, a questo proposito, un alto livello di pensiero critico e autocritico. In altri interventi si coglie il senso più profondo di questo dibattito nel giudizio comparativo tra regimi democratici e regimi totalitari sostanzialmente riconoscendo nella democrazia liberale “il male minore” anche se non si rinuncia a ipotizzare appunto un «al di là» della democrazia. Emerge però l’inquietudine che una tale constatazione possa obliterare la natura rivoluzionaria dell’anarchismo, la preoccupazione che possa essere smarrita l’identità degli anarchici. Identità che ritorna alla ribalta, anche se non in modo visibilmente esplicito, e che rappresenta una sfida continua per il progetto culturale della rivista così votata a rinnovare il pensiero anarchico senza sconfessarne i capisaldi strategici che lo differenziano sia dal liberalismo che dal marxismo[30].
Conseguentemente da questo confronto sul rapporto tra democrazia, liberalismo e pensiero anarchico, «Volontà» ospita anche una serie di articoli che cercano di definire le linee guida per un pensiero politico anarchico. Questa prospettiva più pragmatica e più indirizzata a pensare un anarchismo più gradualista e più sperimentatore, caratterizzava da qualche anno il gruppo redazionale che era, per la gran parte, lo stesso che aveva promosso a Venezia ancora nel 1979 (dopo l’altro grande meeting del 1978 sui nuovi padroni[31] e quello del 1976 nel centenario della morte di Michail Bakunin) un convegno internazionale sull’autogestione e sulle implicazioni teoriche e pratiche che questa idea poteva produrre. L’autogestione è dunque uno dei possibili aspetti in cui si può declinare la forma politica dell’anarchismo[32]. Ma non è l’unica. Federalismo e municipalismo libertario, democrazia diretta, sostanziano sia il concetto di autogestione che una prospettiva politica anarchica. Con l’analisi e la valorizzazione di questi concetti la rivista implementa una svolta decisamente più sperimentalista e innovativa anche rispetto alle tradizionali e classiche visioni dell’anarchismo[33].
In particolare vanno segnalati i contributi di Murray Bookchin e João Freire. Freire si spinge in una direzione molto pragmatica e sperimentalista ipotizzando vere e proprie tappe per un cambiamento gradualista che dia risposte immediate e fattibili a una possibile politica anarchica. Innanzitutto è necessario, a suo parere, riconoscere che la semplice assenza di autorità imposta, non conduce necessariamente all’affermarsi di valori autenticamente libertari. L’idea di una società libertaria va sviluppata tenendo presente che il conflitto non è eliminabile, si può regolarlo attraverso la ricerca costante della soluzione attraverso il metodo del consenso. La società va progettata come altamente organizzata e partecipata, regolata da accordi e contratti con una varietà di protagonisti, livelli e articolazioni e non da leggi generali, astratte e imposte. Naturalmente questo programma va concepito all’interno di un quadro di principi regolatori che esaltino l’autonomia rispetto all’eteronomia, la cooperazione invece della competizione, guidati da valori forti come libertà e solidarietà coniugati strettamente tra loro. L’auto-organizzazione libertaria e la produzione di decisioni (indispensabili in qualsiasi società) contemplano inevitabilmente anche dei momenti di delega che però devono rispondere a caratteristiche precise: revocabilità, controllo effettivo e reale, mandati limitati e specifici. Strategica per un’organizzazione sociale libertaria è la dimensione della comunità: oltre una certa dimensione non è possibile nessuna organizzazione antiautoritaria. In sostanza, secondo Freire, «più che ampliare forme di contro-poteri, che limitano il campo di azione dei poteri istituzionali, si tratta di alimentare processi di anti-potere che fortifichino e rafforzino la logica societaria contro la logica statale»[34]. Bookchin introduce in vari saggi l’idea del comunitarismo, della democrazia diretta, del federalismo, del municipalismo libertario, tutti modelli organizzativi strettamente coerenti con una società ecologica e libertaria[35]. Tutte queste questioni si coniugano, nelle pagine della rivista, con la dimensione internazionalista propria da sempre dell’anarchismo[36].
In particolare, Bookchin sottolinea la centralità, nella visione libertaria, del comunitarismo, come alternativa allo statalismo. Gli anarchici, a suo parere, dovrebbero porsi sul piano concreto di un’azione sul territorio piuttosto che continuare con delle sterili proteste generiche contro lo Stato. In questo modo l’alternativa al sistema dominante può delinearsi subito e costituire una possibile nuova configurazione sociale. Ecco che federalismo, municipalismo, autogestione, soluzioni che favoriscono l’azione diretta e partecipata realmente, possono costituire la via politica di un rinnovato anarchismo. Per superare la logica gerarchica e la dimensione dello statalismo e della centralizzazione è necessario, a suo modo di vedere, dar vita a forme concrete di sperimentazione che possono definirsi come democrazia diretta. Le idee di Bookchin sono note e quindi non vengono qui sviluppate ma in questi anni il pensiero dell’ecologo libertario statunitense sono introdotte in Italia proprio dalla nostra rivista. Naturalmente altri contributi interessanti compaiono su questi temi e «Volontà» rappresenta una vera palestra di idee e di confronti circa la reale valenza di questa prospettiva rispetto ai parametri classici del pensiero anarchico.
Alla prova dei fatti
Temi e argomenti classici del vivere umano e sociale trovano in molti numeri della rivista ampio spazio e stimolano una ricerca a tutto campo in modo da contaminare le idee anarchiche da teorie ed esperienze libertarie che provengono da ambiti disciplinari diversi. Questo sforzo analitico che costantemente ricerca nelle discipline più ampie stimoli, interrogazioni, ipotesi, verifiche, per mettere alla prova dei fatti l’anarchismo, offre uno sguardo veramente plurale e innovativo di cui la redazione è consapevole e ne ricerca con tenacia i contributi.
Per iniziare prendiamo in esame, argomento inconsueto per la teoria anarchica, il problema dell’economia. L’anarchismo (o meglio gli anarchismi) ha affrontato il tema economico dividendosi classicamente tra una parte che ipotizzava la soluzione del comunismo come la più consona per una società anarchica, un’altra che invece pensava che il collettivismo e il mutualismo fossero più adatte a garantire libertà individuale e condivisione sociale, un’altra infine che non negava l’utilità di garantire il possesso individuale nei limiti della rinuncia a ogni tipo di sfruttamento, nell’ambito economico, di altre persone. Comunismo, collettivismo, mutualismo, individualismo libertario (non certamente anarco-capitalismo) sono sempre stati pensati come principi regolatori di un’economia libertaria. Con questa consapevolezza, ma con la convinzione che queste strategie potessero essere tutte verificabili e certamente non risolvibili in una scelta definitiva, «Volontà» scompiglia la discussione tradizionale proponendo alcune riflessioni decisamente nuove che anticipano sia la ricerca di una via originale e innovativa che una messa in discussione della categoria dell’economico in quanto tale.
I contributi più interessanti e innovativi provengono da Luciano Lanza[37] il quale compie lo sforzo titanico di uscire dal dualismo liberismo-comunismo, pensando a una società libertaria che coniughi la libertà individuale e un “mercato libertario” con la necessità di un’uguaglianza reale delle condizioni di vita, oltreché garantire una sorta di “imprenditorialità” senza sfruttamento.
Lanza sostiene che l’economia è una manifestazione teorica e pratica del dominio, nelle forme storicamente determinatesi, quindi non ha una sua propria fondazione valoriale e, dunque, non ha neanche una sua rappresentazione dell’uomo e del mondo. A differenza del dominio, che è presente in ogni società finora esistita, l’economico (inteso come mondo a sé, come realtà oggettiva, come scienza rispondente a se stessa) caratterizza solo le società occidentali e a partire da un periodo storico ben preciso. L’economico però è una rappresentazione della realtà che ha profondamente modificato l’immaginario sociale, dunque la società. Si tratta di un mito che ha riempito un vuoto storico sociale determinando, in quanto significante, le azioni degli esseri umani. Nonostante appaia come mito immortale, è in realtà molto fragile e come tale può essere scalfito e modificato. Infatti se «gruppi più o meno estesi di produttori-consumatori non si pongono in concorrenza con il mercato capitalista, ma se ne rendono indipendenti creando logiche a-economiche si possono produrre fratture significative, perché danno vita e visibilità a zone temporaneamente autonome. Impostate secondo una nuova logica queste zone non vedono nemmeno più al suo interno gruppi di produttori-consumatori, ma un qualcos’altro che non è compreso nel vocabolario dell’economico»[38]. Anche l’economico dunque non è altro che una percezione della realtà che crea, a sua volta, la realtà nella quale viviamo. Una società libertaria si caratterizza per il rifiuto di mantenere una sfera autonoma dell’economico, l’economico non deve avere un suo ambito specifico ma deve conformarsi in altre istituzioni (di parentela, comunitarie e così via). Fuoriuscire dall’economico significa uscire da questa società attuale che è invece la società dell’economico. La razionalità attuale è quella dell’economico, nulla sfugge a esso neanche il politico. Compito difficile ma non impossibile, l’obiettivo è chiaro: promuovere una società nella quale i valori economici abbiano smesso di essere centrali (unici), in cui l’economia sia messa al suo posto di semplice mezzo per la vita umana e non il fine ultimo. In un quadro progettuale così definito appare evidente che le forme dell’economia sono plurali e strettamente legate alle situazioni specifiche della comunità nella quale si manifestano. L’anarchismo quindi non solo propugna un al di là dell’economia ma anche l’inutilità (dannosità) dell’economico.
Intorno a questi argomenti si sviluppa il dibattito che vede il contributo di diversi autori che, pur con approcci diversi, sviluppano questa ricerca e alimentano questo sguardo innovatore lasciando, come spesso capita nelle pagine della rivista, una serie di problematiche ulteriori e, soprattutto, tante domande aperte[39]. Lo spirito di ricerca, di confronto, di rinnovamento si manifesta anche in questo modo e la rivista ne beneficia sicuramente.
Pensare a una società che andasse al di là dell’economia, significava porsi il problema della compatibilità ecologica che una società così rinnovata doveva considerare. L’ecologia, in anni in cui questa visione del mondo era sì presente nel dibattito politico ma la dimensione libertaria delle teorie ambientaliste non era così forte, diventa allora per la redazione un tema cruciale. Le tesi che vengono sostenute possono essere sostanzialmente ricondotte all’importanza, in prospettiva anarchica, dell’ecologia sociale, di cui Murray Bookchin rappresenta, anche tra le pagine della rivista, il riferimento principale. Tra il 1980 e il 1994 compaiono infatti diversi articoli di Bookchin nei quali viene precisata la necessità di arricchire il pensiero classico dell’anarchismo (Reclus e Kropotkin soprattutto) di una nuova visione ecologica che coniughi, secondo appunto Bookchin, la dimensione ambientalista e quella libertaria, che progetti un’alternativa considerando il legame inscindibile tra ecologia e organizzazione sociale libertaria. Si configura così un’idea che, contrariamente a quella istituzionalizzata e riformista dei partiti verdi e anche a quella fondamentalista dei sostenitori dell’ecologia profonda, tenga sempre ben presente che nessun cambiamento significativo in senso ecologico può essere conseguito se non è accompagnato da un radicale cambiamento dei rapporti di potere e delle disuguaglianze sociali. Intorno a questi temi si dibattono diversi autori che portano contributi con visioni diverse ma che determinano uno sguardo molto ampio e pluralista della questione (in particolare segnalo i contributi di John Clark, Roberto Ambrosoli, Paul Feyerabend, Janet Biehl, Franco La Cecla, Jean Baudrillard, Wolfang Sachs, solo per ricordarne alcuni)[40].
Discutendo di ecologia sociale non poteva essere dimenticato il tema più generale della natura umana, del rapporto tra cultura e natura, con uno sguardo multidisciplinare che offre ai lettori una prospettiva che rifiuta sia un’idea di natura umana come essenza (l’essenzialismo), sia l’idea che esista solo una cultura svincolata da ogni relazione naturalistica. Come si può intuire la rivista è costantemente alla ricerca di ipotesi che rifuggano ogni forma di dualismo e che invece stimoli riflessioni e ricerche che sperimentino possibili altre soluzioni alle problematiche proposte[41].
Questi argomenti introducono inoltre una discussione sul rapporto tra universalismo e relativismo, sulla natura profonda dell’epistemologia, sul significato e sui limiti della scienza, sui pericoli quanto mai attuali del fondamentalismo in ogni ambito della vita e del pensiero sociale[42].
Ma «Volontà» è particolarmente attenta anche a questioni più strettamente concrete, nelle quali è possibile sia raccontare esperienze storiche e attuali di sperimentazione, sia recuperare pensatori, non squisitamente anarchici, che attraverso le loro ricerche e intuizioni portano contributi attuali e indicano possibili vie di realizzazione in senso libertario. Ciò avviene in particolare con i temi della città (e dell’abitare) e dell’educazione. Questi due argomenti sono una costante storica della rivista che, fin dall’inizio della sua vita, hanno caratterizzato molto il tipo di proposta editoriale. La città, la casa, l’urbanistica, la geografia sociale, vengono discusse grazie a contributi veramente importanti nel panorama culturale europeo e fanno della rivista un luogo privilegiato e, per certi aspetti unico, in cui trovare anche quell’aspetto concreto che ne ha caratterizzato tutta la vita editoriale[43]. Lo stesso dicasi, appunto, per il tema dell’educazione libertaria e della critica dei sistemi scolastici tradizionali. Argomenti propri di tutta la tradizione anarchica che qui vengono sviluppati coniugando le linee fondamentali che gli autori classici hanno delineato, a questo riguardo, con una serie di analisi e di descrizioni di esperienze più attuali[44].
Non poteva mancare una riflessione a tutto tondo sulla questione femminile, di genere e sul femminismo libertario a cui la rivista dedica numerosi articoli in diversi numeri[45].
Le ragioni dell’anarchia: l’anarchismo di «Volontà»
Non è possibile in questo ambito dare riscontro di tutti gli argomenti che la rivista ha affrontato in questi anni cruciali[46]. Quello che si può dire con certezza è che «Volontà» si è distinta particolarmente per aver spaziato molto tra argomenti, idee, sperimentazioni, filosofie, con uno sguardo decisamente obliquo rispetto a quello del Potere. Ovvio per una rivista anarchica, ma non scontato se si guarda ai temi veramente molteplici che sono stati scandagliati in modo pragmatico senza mai perdere di vista la bussola di una visione anarchica.
L’ultimo numero, che segna i cinquant’anni della rivista, porta il titolo emblematico “Le ragioni dell’anarchia”[47]. L’emblematicità del titolo consiste nel fatto che, a conclusione di questa esplorazione a tutto campo nell’ambito della cultura libertaria, si consolidano appunto le ragioni del pensiero anarchico. Un lungo viaggio in molte direzioni che però non segna definitivamente un percorso, non dà il senso di una conclusione, di un ritorno in cui si ritrova tutto uguale come lo si era lasciato. Si tratta di un viaggio che ha “disorientato” tante certezze, le ha radicalmente messe in discussione, ma ne ha salvaguardato tutto ciò che è valido ancora. Un’operazione culturale che è fatta anche di vita, di sperimentazioni, di iniziative, di lotte. Un vero laboratorio artigianale di notevole finezza professionale. In queste pagine possiamo trovare, con largo anticipo rispetto al panorama di parte dell’anarchismo contemporaneo, intuizioni e scelte che oggi appaiono un po’ più scontate (non sempre e non ovunque) in ambito anarchico. Possiamo dire con onestà che l’anarchismo di «Volontà» è stato anticipatore di una serie di questioni e di nodi strategici per il pensiero anarchico. Quello che bisogna però sottolineare, perché ne arricchisce la portata, è che la rivista è stata un momento importante, ma non l’unico, di una strategia culturale e politica che un gruppo di militanti anarchici italiani e di altri paesi ha sollevato e discusso in modo significativamente nuovo. La preoccupazione di tenere sempre legati pensiero e azione, ragionamento e sentimento, etica e laicità, ha caratterizzato questa straordinaria operazione culturale. «Volontà» è stata un tassello (importante) di un insieme di iniziative e di azioni, di ricerche e di produzioni culturali, che ha profondamente innovato l’anarchismo contemporaneo.
Collaboratori internazionali, aspetti multidisciplinari, pluralità di interpretazioni, ricerca e dibattito, ecc., hanno costituito gli elementi di un autentico laboratorio artigianale di ricerca, valorizzando un pensiero collettivo, praticando una continua relazione tra l’anarchismo sociale e quello più esistenziale (come stile di vita). In un’epoca in cui la crisi del movimento anarchico era palese, in cui il disorientamento culturale e sociale era forte, la rivista ha saputo tenere la barra dritta pur immergendosi nella problematicità e contraddittorietà del reale.
Il pensiero anarchico, grazie a «Volontà», ha spalancato le porte al rinnovamento concettuale perché la rivista ha saputo nutrirlo costantemente di pratiche libertarie. Proprio il fatto di privilegiare, in quest’epoca così difficile alla quale ci riferiamo, la dimensione libertaria, antiautoritaria, del vivere relazionale e sociale, ha consentito al pensiero anarchico di nutrirsi di nuova linfa e di mettere alla prova la coerenza di una visione utopica (ma indispensabile) come quella anarchica.
I nodi che restano ancora aperti (per fortuna vien da dire) sono molti, corrispondono a quelli sollevati in queste pagine e ad altri che, all’epoca, non erano così palesi e urgenti come lo sono diventati oggi.
Nell’ultimo numero si fa una sorta di bilancio di questa esperienza editoriale attraverso una raccolta di saggi che cercano ancora una volta di riaffermare, dopo anni di ricerche e verifiche, la validità del pensiero anarchico collettivo e delle pratiche sociali libertarie. Ai redattori appare evidente che, dato tante volte per morto, il pensiero anarchico mostra una vitalità insospettata. Infatti riesce a influenzare numerosi settori della cultura e della vita sociale, talvolta inconsapevolmente in altre circostanze esplicitamente. Un progetto culturale dunque, quello di questa esperienza editoriale, che non ha cessato di animare tante iniziative e di sollecitare ulteriori ricerche, conservando queste caratteristiche così innovative[48]. Si tratta anche di un progetto politico che prospetta una nuova organizzazione sociale che partendo dal semplice arriva al complesso senza necessitare di istituzioni gerarchiche, in grado di rappresentare un’alternativa rispettabile alla crisi mortale del marxismo e al dilagare mortifero del liberismo.
[1] «Volontà», Rivista anarchica mensile, Edizioni RL, Napoli, a. I n. 1, 1 luglio 1946.
Cfr.: P. C. Masini, M. A. Rossi, F. Codello, N. Berti, Cinquant’anni di Volontà. Indici, in: Volontà, Milano, 1996.
[2] Su Giovanna Caleffi Berneri vedi: C. De Maria (a cura di), Giovanna Caleffi Berneri. Un seme sotto la neve, Biblioteca Panizzi – Archivio Famiglia Berneri – Aurelio Chessa, Reggio Emilia, 2010; AA. VV., Giovanna Caleffi Berneri e la cultura eretica di sinistra nel secondo dopoguerra, Biblioteca Panizzi – Archivio Famiglia Berneri – Aurelio Chessa, Reggio Emilia, 2012; C. De Maria, Una famiglia anarchica. La vita dei Berneri tra affetti, impegno ed esilio nell’Europa del Novecento, Viella, Roma, 2019.
[3] Su Pio Turroni vedi: AA. VV., Dizionario biografico degli anarchici italiani, BFS Edizioni, Pisa, volume secondo, I – Z, pp. 635 – 638 (P. Sensini).
[4] Cfr.: G. Berti, Contro la storia. Cinquant’anni di anarchismo in Italia (1962 – 2012), Biblion Edizioni, Milano, 2016.
[5] (La redazione), Editoriale, Volontà, Milano, gennaio/marzo 1980, n. 1.
[6] Cfr.: F. Codello, Gli anarchismi, La Baronata, Lugano, 2009.
[7] N. Berti, L’anarchismo: nella storia ma contro la storia, Interrogations, marzo 1975, n. 2.
[8] «Volontà» ospita un intenso dibattito su questi argomenti legati a questa fase storica sia italiana che dell’anarchismo in generale. La discussione è aperta da un saggio di Amedeo Bertolo, Lasciamo il pessimismo per i tempi migliori, Volontà, Milano, 1983, n. 2.
[9] Cfr.: Volontà, Milano, 1984, nn. 2-3-4.
[10] Vedi il numero della rivista dedicato, prevalentemente, a questo tema (Cfr.: Volontà, Milano, a. 1985, n. 1). Ma altri interventi compaiono nelle pagine della medesima pubblicazione.
[11] Cfr.: É. Reclus, Natura e società, a cura di John P. Clark, Elèuthera, Milano, 1999, pp. 203-225.
[12] Importante è sottolineare la grande attenzione che la rivista rivolge al pensiero di Cornelius Castoriadis pubblicando alcuni suoi illuminanti contributi e sviluppando le sue intuizioni. Vedi ad esempio i due articoli: L’istituzione immaginaria della società; Incontro con Cornelius Castoriadis, Volontà, Milano, 1984, n. 1.
[13] A. Bertolo, La funzione utopica nell’immaginario anarchico, in: Amedeo Bertolo, Anarchici e orgogliosi di esserlo, Elèuthera, Milano, 2019, p. 177.
[14] Cfr.: M. Bookchin, Social anarchism or Lifestyle Anarchism: An Unbridgeable Chasm, AK Press, Chico, 1995.
[15] A. Bertolo, La funzione utopica… , cit., p. 181.
[16] C. Ward, Anarchia come organizzazione, Elèuthera, Milano, diverse edizioni, p. 65.
[17] A. Bertolo, La funzione utopica… , cit., p. 184.
[18] E. Colombo, L’utopia contro l’escatologia, Volontà, Milano, 1981, n. 3. L’intero numero della rivista è dedicato al tema dell’utopia.
[19] L. Lanza, La rivoluzione e la sua immagine, Volontà, Milano, 1981, n. 1.
[20] Cfr.: Spagna 1936: l’utopia si fa storia, Volontà, Milano, 1996, n. 2. L’intero numero è dedicato a questa esperienza storica. Inoltre un altro numero praticamente monografico sulla Spagna anarchica è: Spagna ’36: guerra e rivoluzione, Volontà, Milano, 1986, n. 4.
[21] Vedi soprattutto: Volontà, Milano, 1983, nn. 2-3.
[22] «Volontà» dedica anche due numeri monografici al tema della libertà: I tempi della libertà, Volontà, Milano, 1995, n. 1 e I due volti della libertà, Volontà, Milano, 1995, n. 4.
[23] Cfr.: N. Berti, Alla radice del problema, Volontà, Milano, 1989, n. 4.
[24] Cfr.: C. Castoriadis, Potere, politica, autonomia, Volontà, Milano, 1989, n. 4; M. Abensour, I paradossi dell’eroismo rivoluzionario, Volontà, Milano, 1989, n. 4; C. Lefort, Democrazia e rappresentazione, Volontà, Milano, 1989, n. 4; A. Thèvenet, Una politica anarchica?, Volontà, Milano, 1994, n. 4.
[25] Cfr.: E. Colombo, Della polis e dello spazio sociale plebeo, Volontà, Milano, 1989, n. 4; M. Bookchin, Società, politica, Stato, Volontà, Milano, 1989, n. 4.
[26] Cfr.: F. Codello, Democrazia e anarchia, in: L. Lanza (a cura di), La pratica della libertà e i suoi limiti, Mimesis-Libertaria, Milano, 2015.
[27] Cfr.: Democrazia e oltre, Volontà, Milano, 1994, n. 4.
[28] A. Bertolo, Al di là della democrazia. L’anarchia, Volontà, Milano, 1994, n. 4.
[29] T. Ibanez, L’incredibile leggerezza dei democratici, Volontà, Milano, 1994, n. 4.
[30] Cfr.: M. La Torre, Discutendo di democrazia, Volontà, Milano, 1980, n. 2; J. Alemany, Il tempo dei campi di concentramento, Volontà, 1981, n. 4; Id., Anarchismo e liberalismo, Volontà, Milano, 1982, n. 3; N. Chomsky, Il tempo dei campi di concentramento, Volontà, Milano, 1982, n. 1; S. Vaccaro, L’implosione statuale, Volontà, 1994, n. 4; R. Di Leo, Banalità e nequizie, Volontà, Milano, 1996, n. ¾; J. Clark, Ripensare la società, Volontà, Milano, 1994, n. 4.
[31] Cfr.: I nuovi padroni. Atti del convegno internazionale di studi sui nuovi padroni, Edizioni Antistato, Milano, 1978. Vedi anche il numero 1 del 1979 di Volontà (in particolare gli articoli si Francesco Codello e Claudio Venza, sintesi di due relazioni presentate al convegno e non comprese erroneamente negli atti).
[32] Cfr.: Autogestione. Utopia riformista o strategia rivoluzionaria?, Interrogations, Torino, 1979, n. 17/18. Vedi inoltre i numeri 3 e 4/5 del 1979 di Volontà.
[33] In particolare vedi il numero dedicato ad alcune esperienze storiche e attuali in cui sono evidenti spazi e modalità libertarie di organizzazione sociale (Cfr.: L’utopia comunitaria, Volontà, Milano, 1989, n. 3).
[34] J. Freire, Idee per una alternativa politica dell’anarchismo, Volontà, Milano, 1983, n. 2. Vedi anche dello stesso autore: Prospettive anarchiche per gli anni ’80, Volontà, Milano, 1981, n. 1.
[35] Vedi ad esempio: M. Bookchin, Tesi sul municipalismo libertario, Volontà, Milano, 1985, n. 4; Id., La proposta federativa, Volontà, Milano, 1991, n. 2-3; Id., Una politica municipalista, Volontà, Milano, 1991/92, n. 4 e 1; Id., La via del comunitarismo, Volontà, 1994n . 4.
[36] Cfr.: Nostra patria è il mondo intero, Volontà, 1990, n.2-3.
[37] Cfr.: L. Lanza, Al di là dell’economia, Volontà, Milano, 1981, n. 3; Id., L’economia dal dominio alla libertà, Volontà, Milano, 1982, n. 3; Id., Il dominio e l’economia, Volontà, Milano, 1984, n. 1; Id., Il mercante e l’utopista, Volontà, Milano, 1990, n. 1-2; Id., Il mito economia, Volontà, 1996, n. 3-4.
[38] L. Lanza, Il mito economia, cit.
[39] Cfr.: Al di là dell’economia, Volontà, Milano, 1990, n. 1-2.
[40] Cfr.: Pensare l’ecologia, Volontà, Milano, 1987, n. 2-3; Pornoecologia: la natura e la sua immagine, Volontà, Milano, 1992,n. 2. Oltre che in questi due numeri monografici altri articoli compaiono su diversi altri numeri.
[41] Cfr.: Uomini e lupi, Volontà, Milano, 1990, n. 3. Vedi inoltre altri articoli su questi temi in numeri diversi di «Volontà». (In particolare segnalo nel numero 4 del 1982 i contributi di Nico Berti, Roberto Ambrosoli, Edgar Morin, Henri Laborit).
[42] Cfr.: Lo scienziato e il filosofo, Volontà, Milano, 1987, n. 4; Il diritto e il rovescio, Volontà, Milano, 1990, n. 4; Il pensiero eccentrico, Volontà, Milano, 1991 n. 4 / 1992 n. 1; Tutto è relativo o no?, Volontà, Milano, 1994, n. 2-3; Fondamentalismi senza veli, Volontà, 1996, n. 1.
[43] Cfr.: Volontà, Milano, 1986, n. 2; L’idea di abitare, Volontà, 1989, n. 1-2 (in particolare i saggi di Ivan Illich, Colin Ward, John Turner, Giancarlo De Carlo); Geografia senza confini, Volontà, Milano, 1992, n. 4 (ancora Colin Ward e Claude Raffestin in particolare); La città è nuda, Volontà, Milano, 1995, n. 2-3 (vedi particolarmente i saggi di Colin Ward, Giancarlo De Carlo, Carlo Doglio, Franco Buncuga, Pietro M. Toesca).
[44] Cfr.: Educazione e libertà, Volontà, Milano, 1987, n. 1; Il bambino fra autorità e Libertà, Volontà, Milano, 1992, n. 3 (vedi i contributi di Ivan Illich, Marcello Bernardi, Lamberto Borghi in particolare). Infine vedi anche: F. Codello, L’educazione libertaria, Volontà, Milano, 1996, n. 3-4.
[45] Vedi ad esempio i vari articoli apparsi in: Volontà, Milano, 1982, n. 4; Volontà, 1983, n. 1; Differenza che passione, Volontà, Milano, 1988, n. 1-2 (segnalo i vari contributi di Rossella Di Leo, Marianne Enckell).
[46] Per esempio vedi i numeri monografici non citati nel corso del testo: La dimensione libertaria del Sessantotto, (1988, n.3); Dis/fare l’arte, (1988, n. 4); Droga: il vizio di proibire, (1991, n. 1); Note di rivolta (1993, n. 1-2); Penne all’arrabbiata (1993, n. 3-4); Delitto e castigo (1994, n. 1); Fondamentalismi senza veli (1996, n. 1); Spagna 1936: l’utopia è storia (1996, n. 2). Inoltre va ricordato un numero prevalentemente dedicato alla psicoanalisi (1985, n. 2).
[47] Le ragioni dell’anarchia, Volontà, Milano, 1996, n. 3-4.
[48] In particolare, per quanto riguarda l’Italia, sono le edizioni Elèuthera e le iniziative del Centro studi libertari “Giuseppe Pinelli” di Milano e dell’Ateneo degli imperfetti di Marghera (VE) che ne hanno raccolto il testimone.