Volontà 1980-1996: le ragioni dell’anarchia
di Nico Berti
fonte: «Volontà», numero speciale Cinquant’anni di Volontà. Indici 1946-1996, Milano 1997
1980-1996: le ragioni dell’anarchia di Nico Berti «Volontà», numero speciale Cinquant’anni di Volontà. Indici 1946-1996 Milano 1997 Un discorso sulla cultura anarchica espressa da “Volontà” non può prescindere da una considerazione di carattere generale, che consiste nel sottolineare lo stretto rapporto intercorso tra il movimento anarchico, l’anarchismo e la stessa rivista. Il senso profondo della storia di “Volontà” dal 1980 al 1996, e il suo posto nella storia della cultura anarchica italiana e internazionale, è dato dal tentativo di ripensare i valori principali dell’ideologia anarchica così come questa si è venuta evolvendo a seguito della nuova situazione storica. Il passaggio politico, sociale e culturale dagli anni Settanta agli anni Ottanta, e poi l’ulteriore svolta dagli anni Ottanta agli anni Novanta, trova infatti nel nuovo indirizzo del periodico una significativa registrazione perché in esso viene rispecchiato, sostanzialmente ed emblematicamente, il momento centrale di questo processo: la progressiva consapevolezza della maggiore importanza di una riflessione assiologica rispetto a una riflessione scientifica e analitica. Mi spiego. Dalla metà degli anni Sessanta a tutto il decennio degli anni Settanta buona parte dell’intellettualità anarchica italiana e internazionale ha mostrato molto più interesse a individuare, attraverso un’analisi di tipo storico e socio-economico, le grandi tendenze della società contemporanea, che a riflettere sui valori ultimi dell’anarchismo e sulla base (qualunque essa sia) che li sorregge. Si voleva, soprattutto, delineare un quadro generale e poi da qui concepire un’azione in grado di adattare le proprie coordinate al mutamento avvenuto. Il titolo di un testo pubblicato nel 1973, Anarchismo ‘70. Un’analisi nuova per la strategia di sempre, dà esattamente il senso di questa ricerca intellettuale, che troverà subito dopo, con la rivista internazionale “Interrogations” (1974-1979), la sua logica prosecuzione. Il nocciolo “forte” dell’ipotesi teorica di fondo che guidava questa ricerca era fondata sulla convinzione che l’assetto capitalistico-borghese fosse destinato a subire una sensazionale trasformazione dovuta all’avvento al potere di una nuova classe tecno-burocratica che avrebbe sostituito il potere della vecchia borghesia. Rimaneva in tutti casi scontato che il soggetto rivoluzionario (rappresentato sempre dall’insieme delle classi subalterne) rimanesse sostanzialmente lo stesso, nel senso che lo schema logico che regolava il conflitto fra dominanti e dominati non mutava il senso ultimo del bisogno fondamentale di una trasformazione radicale, e dunque rivoluzionaria, della società. I tempi e i modi si potevano discutere, mentre non poteva essere posto in discussione il senso profondo della azione storica che gli anarchici dovevano perseguire. Con l’esaurirsi, a mio avviso proprio già dalla metà degli anni Settanta, dell’ondata nata nel 1968, il movimento anarchico si trovò, come del resto tutti i movimenti di estrema sinistra, senza quell’energia dinamica che l’aveva fino a quel momento nutrito. Una spinta, però, per alcuni versi negativa perché proprio grazie a essa erano passate sotto tono alcune domande fondamentali alle quali era ora necessario rispondere: cosa vuol dire essere anarchici? Perché è giusto scegliere l’anarchia? L’anarchia è una teoria politica o un’istanza etica, o che cos’altro ancora? Se si scorrono gli indici di “Volontà” si vede subito che il tentativo di creare una nuova cultura anarchica e libertaria, così come veniva emergendo attraverso un dibattito molto articolato partito proprio dall’esaurimento della “contestazione”, è per molti versi riuscito. Riuscito nel senso, beninteso, che oggi è possibile delineare un quadro storico-concettuale di questa cultura, fissandone i caratteri fondamentali. Ciò è stato possibile perché quasi tutte le grandi questioni culturali sono state affrontate con il duplice intento di dare spiegazione della realtà partendo dalle risorse profonde dell’anarchismo e di rinnovare tali risorse proprio dal confronto con la realtà medesima. Non è riuscito invece, e non poteva riuscire, colpire al cuore il problema, quello della fondazione assiologica dell’anarchismo, anche se ora molti quesiti possono essere riformulati in modo più chiaro. Da un punto di vista metodologico non vi è dubbio che l’intento dei redattori della rivista è stato quello di voler dare espressione alla complessità storico-sociale e dunque alle molte voci che la attraversano e la condizionano. Questo pluralismo ha voluto considerare i problemi teorici prescindendo dalla loro possibile valenza militante e quindi della possibilità di un uso “immediato” delle loro risoluzioni e dei loro risultati. Ciò ha comportato un’attenzione ad ampio raggio, una ricognizione a tutto campo della cultura libertaria e anarchica via via manifestatasi. Questo stesso pluralismo ha così messo in luce l’equivalenza di molti tempi, senza creare uno schema “gerarchico” della maggiore o minore importanza dei quesiti trattati, con il significato, implicito, di riconoscere la fine di un filosofia della storia che poneva al centro il nodo fondamentale della rivoluzione. Si può parlare a questo proposito di un’autonomizzazione del concetto di rivoluzione perché questa viene in qualche modo sciolta dalle sue determinazioni storiche concrete (“Volontà”, numero 1/1985). Sia nei saggi che la propugnano, sia nei saggi che la negano si constata la fine di un processo storico e dunque il sorgere del problema di una reinterpretazione rivoluzionaria della realtà (Luciano Lanza) che deve partire in tutti i casi da questa constatazione. Al di là che l’anarchismo debba essere prioritariamente rivoluzionario oppure no (Eduardo Colombo e Andrea Papi, Tomás Ibáñez e João Freire), questa dimensione non è più un elemento “oggettivo” del mutamento storico (Salvo Vaccaro), ma una sua valenza che può essere colta a seconda della convenienza che lo stesso anarchismo ha nel porsi su questo terreno. Ecco quindi, per logica conseguenza, il problema della violenza; problema allo stesso tempo, etico, ideologico, strategico e politico, la cui soluzione non porta comunque a un’accettazione aprioristica di qualsiasi punto di vista (si vedano a tale proposito i saggi in “Volontà”, numero 4/1983). Al tema della rivoluzione si aggancia un altro problema chiave, quello del giudizio comparativo fra democrazia e totalitarismo innescato dalle osservazioni di Josep Alemany (“Volontà”, numero 4/1981) e proseguito con gli interventi di Noam Chomsky (“Volontà”, numero 1/1982) e di Colombo, Franco Melandri, Giovanni Pagnini (Lanza), Dimitrov, Slobodan Drakulic (“Volontà”, numero 2/1982). Ma si vedano anche Michael Walzer e Simon Leys (“Volontà”, numero 2/1984). Il senso di questo dibattito, infatti, non è dato dal giudizio comparativo (perché nella sostanza si dà scontato il “male minore” della democrazia), ma dal problema che una tale questione finisca per obliterare in qualche modo la natura rivoluzionaria dell’anarchismo. Si vede qui la presenza, che sarà quasi sempre costante nella rivista, di una preoccupazione “esistenziale”: il problema dell’identità degli anarchici, sia quando sono in azione, sia quando smettono di esserlo. La loro identità, infatti, non investe solo una questione militante, ma anche il senso di una necessaria alterità che deve rimanere viva a fronte dei mutamenti negativi o positivi del processo storico (i saggi di Amedeo Bertolo, “Volontà”, numero 3/1983 e numero 4/1985). Da un punto di vista dottrinario la questione dell’identità emerge sia nell’ovvia rivisitazione dei grandi lasciti del patrimonio storico della dottrina e dell’azione anarchica (così i numeri monografici dedicati a Pëtr Kropotkin e alla rivoluzione spagnola, “Volontà” numero 2/1981, “Volontà” numero 4/1986 e il convegno su Malatesta svoltosi a Milano nel settembre 1982), sia nelle ricorrenti riflessioni sull’utopia. Anche questo tema tocca infatti il problema dell’identità perché pone continuamente la possibilità di ripensare l’anarchismo, paradossalmente, ma del tutto consequenzialmente, secondo l’“attualità” del momento. La varietà dell’utopia, con tutte le sue molteplici facce (riformiste e rivoluzionarie, messianiche ed escatologiche, razionali ed emozionali, politiche ed economiche, esistenziali e filosofiche, storiche e immaginarie, sessuali ed educative, “Volontà” numeri 3 e 4/1981; numero 2/1982; numero 2/1984), permette infatti un continuo ripensamento del presente alla luce del futuro, rinsaldando, proprio con questa sua implicita valenza rivoluzionaria, l’identità dell’anarchismo medesimo. Ma sull’identità anarchica un punto fermo, per quanto attiene non solo alla riflessione teorica, ma anche alla “politica culturale” della rivista, è rappresentato senza dubbio dal convegno internazionale di studi tenutosi a Venezia nel settembre 1984. Il richiamo orwelliano all’anno 1984 ha voluto significare che il grande scontro apertosi oltre un secolo fa tra stato e anarchia continua a vedere la presenza irriducibile di questa a fronte del fallimento inequivocabile di tutti gli altri movimenti rivoluzionari. Gran parte delle relazioni presentate hanno tentato dei bilanci complessivi alla luce delle grandi prove storiche e delle grandi sfide teoriche con le quali l’anarchismo ha dovuto cimentarsi. In questo senso il convegno veneziano ha segnato una svolta della riflessione teorica anarchica a livello internazionale (si vedano i saggi raccolti in “Volontà” numeri 3 e 4/1984). Un altro momento fondamentale della ricerca teorica condotta dalla rivista è data dalla riflessione sul tema del potere, con l’intento di comprendere le strutture gerarchiche costanti che presiedono alla formazione di ogni potere effettivo. Da qui lo sforzo di una definizione allo stesso tempo semantica e ideologica dei concetti di potere, autorità e dominio, concepiti come non equivalenti fra loro. Questa linea di ricerca contempla pure, contemporaneamente, un’altra direzione che è data dal tentativo di una definizione “realistica” degli ambiti propri di una società retta da norme anarchiche. Si può così abbandonare il paradigma, ormai stereotipato, dello spontaneismo sociale (Bertolo, “Volontà” numero 2/1983). Altri contributi sul problema del potere in “Volontà”, numero 3/1983. La riflessione sul paradigma del potere, sul carattere della sua riproducibilità, costituisce certamente uno degli esiti più cospicui di un premessa “forte” della ricerca intellettuale anarchica degli anni Ottanta e Novanta: il presupposto teoretico dell’immaginario. Su tale presupposto, infatti, si possono rinvenire numerosi contributi, a cominciare dai saggi di Cornelius Castoriadis (“Volontà” numero 1/1984), di Colombo (“Volontà” numero 4/1980; numero 2/1983; numero 3/1984) e di René Lourau (“Volontà” numero 4/1980). La valenza fortemente anarchica della teoria dell’immaginario consiste nell’affermare che il simbolico è una creazione storico-sociale, per cui la sua componente fondamentale è appunto immaginaria, cioè “arbitraria”, nel senso che la società può creare quell’immaginario o un altro immaginario. In atri termini, non esiste alcuna oggettiva necessità che la società abbia quella determinata forma, viva quella determinata scala di valori, funzioni in quel determinato modo. La società, ogni società, non può esistere senza una significazione centrale e senza una rete di simbolismi capaci di rimandare alla costruzione razionale della realtà; però tale costruzione è pur sempre “inventata”, anche se parte da alcune basi storiche e naturali. Sulla scia di questa concezione sono inscrivibili anche i contributi relativi all’analisi economica. L’economico non ha una fondazione propria, cioè un’autonomia strutturale, perché anch’esso non è altro che creazione storica. La sua razionalità, intesa come scienza a sé stante, è ravvisabile nelle società occidentali dato che solo in esse si constata la presenza di un nuovo tipo antropologico, l’homo oeconomicus. La mancanza di uno statuto autonomo dell’economia dimostra la possibilità storica di un’altra logica economica non asservita al principio del dominio (Lanza, “Volontà” numero 3/1982; numero 1/1984; numero 1-2/1990). Il presupposto teoretico dell’immaginario se da un lato svela la mancanza di una fondazione oggettiva del dominio (Vaccaro, “Volontà” numero 1/1984), dall’altra mette in luce la non fondazione ontologica del principio di libertà (oltre ai saggi di Bertolo, Lanza e Colombo, già citati, si veda anche il numero 1/1981 dedicato al rapporto tra etica e anarchismo e l’intervento di Melandri apparso nel numero 3/1985). E con ciò si ritorna nuovamente all’ispirazione metodologica di fondo della rivista, riassumibile nell’equivalenza pluralistica della ricerca intellettuale. Ecco quindi il tentativo di evidenziare le effettive valenze libertarie e anarchiche presenti nella realtà sociale e nei movimenti alternativi all’assetto dominante. La pluralità del reale rimanda insomma alla pluralità dei soggetti. Può essere letta in questa chiave l’attenzione rivolta al femminismo, che viene inquadrato partendo dall’idea che il dominio maschile sul mondo femminile è sempre una variabile della struttura generale del dominio tout-court (Rossella Di Leo, “Volontà” numero 3/1983). Ma si vedano anche le osservazioni di Marianne Enckell (“Volontà” numero 1/1983), e i saggi di Peggy Kornegger e di Nicole Laurin-Frenette apparsi nel numero 4/1982. Altri contributi sul tema si rintracciano negli interventi di Kathy Ferguson e nel dibattito a più voci tra Agathe, Mira Oklobdzija e Marina Valcarenghi, “Volontà” numero 1/1983 e, soprattutto, nella ricerca di antropologia del potere del gruppo Le scimmie apparso sul numero 3/1986. Dove si rintraccia un tentativo di rifondazione generale ed esaustiva della teoria anarchica, che rimanda per contro allo stesso principio del pluralismo, è nell’ecologia sociale delineata da Murray Bookchin, i cui contributi sono stati più volti ospitati nella rivista (numeri 1 e 3/1982). Quella di Bookchin vuole essere una concezione onnicomprensiva e interdisciplinare volta a sbarazzare il campo dalle categorie politologiche, per cui i termini come capitalismo, stato, classe operaia sono assunti, assorbiti, trasfigurati e inquadrati in una realtà diversa. L’ecologia bookchiniana è radicale, in quanto afferma che le interconnessioni necessitanti che “tengono” il sistema natura-uomo-società rivelano la globalità etica dei diritti dell’esistente in tutta la complessità delle sue forme, che sono, in termini ecologici, la garanzia dell’equilibrio e quindi dell’infinita multiformità del reale. Con il 1986, che registra i quarant’anni della rivista, si può dire in gran parte conclusa la fase del dibattito e delle grandi linee di ricerca. Il periodo successivo si caratterizza con una serie di numeri monografici tesi ad approfondire i grandi temi culturali del nostro tempo. L’intento non è solo quello di nutrire la teoria anarchica con nuove linfe vitali, ma anche di dimostrare come tante intuizioni dell’anarchismo classico siano passate, consapevolmente o meno, nella più avanzata cultura contemporanea. Possiamo così registrare i numeri sull’educazione (numero 1/1987 e numero 3/1992), sull’urbanistica e sull’arte (numeri 4/1988; 1-2/1989; 2-3/1995), sull’economia (numeri 1-2/1990), sull’ecologia (numeri 2-3/1987; 2/ 1992), sulla droga (numero 1/1991), sulla musica (numeri 1-2/1993), sulla geografia (numeri 1- 2/1992), sull’epistemologia (numeri 4/1991; 1/1992; 2-3/1994), sul fondamentalismo (numero 1/1996). Ma lo sforzo maggiore dei redattori della rivista e dei suoi più stretti collaboratori è stato in tutti questi anni quello di giungere a definire l’identità anarchica. Di qui una nuova riflessione sul 1968 (numero 3/1988), sulla rivoluzione spagnola (numero 2/1996), sull’internazionalismo (numeri 2-3/1991), sul politico e sul sociale (numero 4/1989). In modo particolare l’attenzione è stata rivolta verso il fondamento (o i fondamenti) dell’anarchismo, vale a dire verso il suo problema chiave, il problema della libertà (numeri 1 e 4/1995). Alla luce delle acquisizioni culturali più agguerrite, si è infine analizzata l’ideologia anarchica rapportandola alle altre ideologie fondamentali del mondo contemporaneo, il socialismo e il liberalismo (numero 4/1994), per giungere a dare spiegazione alle ragioni ultime dell’anarchia (numeri 3-4/1996).