Nel caos e nel pressapochismo mediatico di questi giorni sono state dette tante assurdità ed inesattezze sull'anarchia. Una in particolare ci lascia stupiti: lo Stato punta il dito contro quelle che ritiene pericolosissime relazioni tra mafia e anarchia. C'è il rischio concreto, secondo loro e secondo una velina di polizia, che si formi un cartello sovversivo-criminale volto a rovesciare le istituzioni costituite. In poche righe uno stravolgimento dadaista della realtà degno del miglior ministero della verità orwelliano.
In realtà è curioso che a parlare di rapporti tra mafia e anarchia siano proprio i rappresentanti dello Stato. Al momento non c'è niente di lontanamente rilevante che dimostri questi legami: l'unico contatto tra mafiosi e anarchici pare essere avvenuto in carcere, poche parole scambiate durante l'ora d'aria. Ora, se mafiosi e anarchici si trovano assieme nelle carceri di massima sicurezza è perché ce li ha messi lo Stato, e con chi ci si aspetta che parlino i detenuti di diversa estrazione durante l’unica ora d’aria, se non tra di loro? Ma se le prove del sodalizio mafia-anarchia finiscono qui, prove dei rapporti e delle trattative a vari livelli tra lo Stato e la mafia ce ne sono moltissime, e queste sì che dovrebbero inquietare l’opinione pubblica.
Tralasciamo per necessità di sintesi la cronaca giudiziaria pressoché quotidiana riguardante i rapporti strutturali tra criminalità organizzata e politica a tutti i livelli, trasversale agli schieramenti e diffusa su tutto il territorio. Ricordiamo però che uno degli attuali partiti di governo è stato co-fondato da Marcello Dell'Utri, sulla cui carriera criminale non ci sono particolari dubbi (per non parlare dello stalliere mafioso alle dipendenze dell’ex presidente del consiglio) e che Andreotti, riconosciuto responsabile di aver avuto rapporti con la mafia fino al 1980, è stato difeso da un'avvocatessa, anche lei in politica e anche lei in uno dei partiti di governo, che confonde in maniera troppo sospetta la prescrizione con la non colpevolezza.
Ma il fatto più eclatante è che lo Stato abbia trattato, fatto riconosciuto anche a livello processuale, direttamente con la mafia nel momento in cui questa compiva – veri e non presunti – attentati terroristici dinamitardi che hanno lasciato sul terreno un numero consistente di cadaveri, oltretutto depistando e sabotando chi cercava di far luce sulla vicenda. A detta dei giudici, però, “il fatto non costituisce reato” in quanto gli incaricati della trattativa, ovvero i carabinieri, “hanno agito per l'interesse dello Stato”. Dunque, se di accordi con la mafia si deve parlare, è negli apparati statali che bisogna cercare. E lì sì che si trovano evidenze concrete e non ipotesi grottesche, che non ci dicono niente dell’anarchismo ma tanto della statura umana e politica degli attuali servitori (o servi?) dello Stato e del funzionamento delle sue strutture.